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    Coronavirus: a San Vittore la settima vittima tra i detenuti nelle carceri italiane

    L'uomo, di 54 anni, era in custodia cautelare. Il consigliere comunale Alessandro Giungi (PD) a TPI: "Le misure alternative alla detenzione sono fondamentali. Le critiche al Governo non hanno senso: i giudici applicano leggi esistenti già prima dell'emergenza Covid-19"

    Di Lorenzo Zacchetti
    Pubblicato il 2 Mag. 2020 alle 16:08 Aggiornato il 2 Mag. 2020 alle 16:15

    Coronavirus, settima vittima tra detenuti in un carcere italiano

    È deceduto all’ospedale San Paolo di Milano un uomo di 54 anni, detenuto in custodia cautelare presso il carcere di San Vittore: si tratta della settima vittima per Coronavirus tra le persone sottoposte a restrizione della libertà personale. A comunicarlo è stato il garante nazionale dei diritti delle persone detenute, Mauro Palma. La gestione dell’epidemia da Covid-19 nelle strutture residenziali non riguarda “solo” la nota emergenza delle RSA: benché gli anziani rappresentino la popolazione più fragile, il tema coinvolge anche gli istituti per disabili, minori, migranti e, appunto, le carceri.

    Al momento sono noti 21 casi di positività tra i detenuti di San Vittore, su un totale di 24 in Lombardia, e si temono ulteriori incrementi all’interno di un istituto dove lo scorso 9 marzo si era verificata una rivolta, con diversi detenuti saliti sui tetti e uno di essi salvato in extremis dai sanitari, in seguito a un overdose di metadone asportato dall’infermeria. Dopo i 12 morti provocati a livello nazionale nelle rivolte scoppiate in vari istituti di pena, lo scorso 17 marzo a Voghera (in provincia di Pavia), si è riscontrato il primo caso di positività al Covid-19 in un carcere italiano.

    Il segnale di allarme che ha spinto il Governo a varare un provvedimento di decongestionamento delle carceri, benché decisamente impopolare. Il Consigliere Comunale di Milano Alessandro Giungi (PD), già presidente della sottocommissione Carceri, però spiega a TPI: “Le critiche al Governo su questo tema non sono motivate, perché non si sta utilizzando alcuna legislazione speciale, ma solo norme già esistenti. Il DL 18-2020 prevede l’applicazione di misure alternative per residui di pena fino a 18 mesi, ma nei fatti non viene applicato sia perché é difficile reperire i braccialetti elettronici, sia perché c’erano già delle norme antecedenti”.

    “I magistrati, infatti, stanno applicando la Legge approvata dal Governo Berlusconi nel 2010, che prevede la detenzione domiciliare per chi ha un residuo di pena fino a due anni, senza nemmeno l’utilizzo del braccialetto elettronico. Inoltre, c’era già da tempo l’istituto dell’affidamento ai servizi sociali”, aggiunge il consigliere. “Tuttavia, il problema del sovraffollamento delle carceri non lo scopriamo certo oggi, per via del Coronavirus. Fino allo scorso 29 febbraio in Italia c’erano oltre 61.000 detenuti, a fronte di una capienza reale di circa 48/49.000 persone. Oggi, a seguito dell’applicazione delle misure alternative, i reclusi sono 53.187”.

    Il ricorso a misure alternative alla detenzione è quindi “una scelta da incentivare, a maggior ragione oggi che l’epidemia non rende possibile il distanziamento sociale necessario per salvaguardare la salute dei detenuti e quella degli agenti di Polizia Penitenziaria. E’ una scelta di buon senso che vede d’accordo tutti gli esperti del settore, a partire dai direttori dei carceri”, conclude Giungi.

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