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Venerdì 17: perché porta sfortuna?

venerdì 17 sfortuna
Di Maria Elena Gottarelli
Pubblicato il 16 Mag. 2019 alle 17:59 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:44

Venerdì 17 sfortuna | In questa data i superstiziosi resterebbero volentieri a casa: venerdì 17 è, per chi ci crede, sinonimo di sciagure e sfortune più o meno annunciate. Quando la paura di questo giorno ci impedisce di svolgere le normali attività quotidiane come prendere l’autobus o andare a lavoro, si tratta di una vera e propria patologia che prende il nome di Eptacaidecafobia, dal greco: paura del numero 17.

Venerdì 17 è la combinazione di due elementi considerati nefasti nella tradizione occidentale di stampo greco-latino: il venerdì, che per i cristiani è il giorno della morte di Cristo (avvenuta, appunto, il venerdì Santo), e il numero 17, associato alla sfera del maligno prima dai greci, poi dai romani e infine dalla Smorfia napoletana. Ma vediamo nel dettaglio da dove viene questa superstizione.

Perché crediamo ancora nelle superstizioni: c’è una spiegazione scientifica

Venerdì 17 sfortuna | Origini | I primi ad avere associato il numero 17 al maligno furono gli antichi greci. I seguaci di Pitagora avevano ribrezzo per questo numero perché si trova fra il 16 e il 18, che invece rispecchiano la perfezione in quanto rappresentazione di quadrilateri 4×4 e 3×6.

L’imperfezione del numero 17 non piaceva ai greci, il cui modello di virtuosità era strettamente legato all’idea di armonia e di perfezione (kalos kai agathos, “bello e buono” è il motto omerico per definire gli eroi valorosi, il cui coraggio e la cui moralità si rispecchiava direttamente nella bellezza fisica).

Ma lasciamo gli antichi greci e immergiamoci nelle nostre radici cristiane: nell’Antico Testamento, la data di inizio del diluvio universale è il 17 del secondo mese.

Nell’impero romano, poi, il numero 17 è associato alla sfortuna per diverse ragioni, militari e sociologiche. Nel 9 d.C., ebbe luogo la battaglia di Teutoburgo, in cui le legioni 17, 18 e 19 furono sbaragliate dai germani di Erminio.

C’è di più: nell’Antica Roma, c’era l’usanza di scrivere sulle tombe “VIXI”, in latino: “ho vissuto”, quindi “sono morto”. Nei numeri romani, “VIXI” è l’anagramma di XVII, cioè 17. Nel Medioevo, quando l’analfabetismo era particolarmente diffuso, l’iscrizione sulle tombe veniva spesso scambiata con il numero 17, che ha così iniziato ad essere associato, nella mentalità corrente, alla morte.

La sfortuna associata al numero 17 è stata tramandata ai giorni nostri attraverso la Smorfia napoletana (il dizionario dei numeri del lotto), in cui 17 è sinonimo di sciagura, scalogna.

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