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    Democrazia in bilico: se la corte suprema Usa vieta l’aborto molti altri diritti sono a rischio

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 3 Mag. 2022 alle 15:53 Aggiornato il 25 Giu. 2022 alle 14:45

    Il parere della Corte Suprema degli Stati Uniti, che venerdì 25 giugno ha annullato la sentenza “Roe v Wade” che garantisce il diritto all’aborto in America, pone dubbi importanti sullo stato di salute della democrazia americana.

    La sentenza Roe v Wade del 1973

    La sentenza in questione risale al 1973 e riguarda il caso di Norma Leah McCorvey, cittadina del Texas che durante il processo veniva chiamata Jane Roe per tutelarne la privacy, sposata dall’età di 16 anni a un uomo violento, con cui aveva figlie. Rimasta incinta per la terza volta, McCorvey si rivolse a un tribunale e, mentendo, denunciò lo stupro da parte del compagno per poter abortire: la legislazione del Texas, infatti, all’epoca ammetteva l’aborto solo in caso di violenze sessuali e incesto. Anche se la polizia non trovò evidenza dell’avvenuta violenza e il tribunale respinse la richiesta, gli avvocati di Roe si rivolsero alla Corte distrettuale e chiesero che riconoscesse alla donna, in generale, la libera scelta di abortire.

    La Corte Distrettuale diede ragione ai legali di McCorvey, basandosi sull’interpretazione del XIX Emendamento della Costituzione, in cui si dichiara che l’elenco dei diritti individuali può essere integrato da altri diritti non specificamente menzionati dalla Carta. L’avvocato della difesa, Henry Wade, fece allora ricorso in appello alla Corte Suprema. I legali di Roe domandarono che il diritto all’aborto fosse riconosciuto sulla base della libera scelta personale della donna, a prescindere da eventuali problemi di salute.

    Anche in questo caso la Corte – con sette voti favorevoli su nove – accolse le tesi dell’accusa, basandosi sull’interpretazione di un altro Emendamento, il XIV, che riguarda il diritto alla privacy, inteso come diritto alla libera scelta per quanto riguarda le questioni della sfera intima di una persona, senza che lo Stato possa agire illimitatamente nei confronti della persona stessa.

    Il caso aperto dal Mississipi: come siamo arrivati a questo punto

    A distanza di oltre 40 anni, lo Stato del Mississipi ha chiesto alla Corte di respingere o ribaltare la Roe v. Wade dopo aver approvato, nel 2018, una legge statale che vieta l’interruzione di gravidanza dopo le 15 settimane. Come rivelato dal Washington Post, inizialmente lo stato si era rivolto alla Corte Suprema per la sola convalida della legge, ma quando questa ha accettato di ascoltare il caso, gli obiettivi del Mississippi si sono ampliati, e tra le richieste è stata inclusa quella di ribaltare del tutto la legge sull’aborto.

    Il cambio di atteggiamento da parte dei giudici federali, che fino a quel momento si erano sempre rifiutati di esaminare i casi che riguardavano l’interruzione di gravidanza prima del limite di 24 settimane (fissato da una successiva sentenza del 1992), è dipeso fondamentalmente dalla mutata composizione della Corte, che dopo l’elezione di Trump e la nomina di tre giudici ultra-conservatori ha spostato i suoi equilibri sempre più a destra. Al momento i giudici di orientamento conservatore che compongono la Corte Suprema sono infatti la maggioranza, e cioè 6 su 9.

    Gli avvocati che rappresentano lo stato del Mississipi hanno chiesto un ritorno alle origini, cioè una interpretazione letterale della Costituzione sostenendo che in essa, così come “nella struttura, nella storia e nella tradizione degli Stati Uniti” non vi sia nulla “che sostenga il diritto all’aborto”, per questo ciascuno stato dovrebbe essere libero di decidere se e quando vietarlo. Nella bozze del parere, che secondo Politico sarebbe stata firmata da cinque giudici su nove, si legge tra le altre cose che “è il momento che si presti attenzione alla Costituzione e che si rimandi la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti dalle persone”.

    Cosa succederebbe se la Corte Suprema negasse il diritto all’aborto

    La sentenza ha di fatto confermato il contenuto della bozza fatta trapelare dal quotidiano Politico a inizio maggio: d’ora in poi saranno i singoli stati a dover decidere se e come permettere di interrompere una gravidanza, e ad ogni modo saranno liberi di vietarlo. In quelli democratici l’aborto continuerà probabilmente ad essere legale, ma in tanti altri verrà quasi sicuramente negato: uno scenario probabile sopratutto alla luce delle ultime leggi approvate negli stati controllati dal partito repubblicano. Ad aprile il parlamento dell’Oklahoma ha approvato un disegno di legge che vieta l’aborto in qualsiasi momento della gravidanza, tranne per salvare la vita della madre incinta. In Texas e in Florida l’aborto è legale sino rispettivamente alla sesta e alla quindicesima settimana di gravidanza, in Mississipi fino alla quindicesima.

    Ma gli istituti americani stimano che l’aborto potrebbe diventare illegale in circa la metà degli Stati Uniti. Solo approvando una legge federale che sancisca il diritto all’aborto la libertà delle donne di interrompere la gravidanza potrebbe essere garantita, ma il partito democratico, pur controllando la Casa Bianca, non ha abbastanza rappresentanti in Congresso per approvarla: è insomma del tutto improbabile che una simile legge possa passare stando all’attuale composizione delle Camere, soprattutto di quella alta, il Senato. Dunque l’aborto potrebbe diventare una materia completamente soggetta alle scelte politiche dei singoli stati, cambiando in base agli orientamenti dei governi locali.

    Democrazia a rischio

    Il parere della Corte sostituisce alla libertà della donna di abortire la libertà degli stati di vietarle l’aborto: un’ingerenza sostanziale di un attore politico nella sfera privata e individuale del cittadino. Come osservato dall’editorialista americana del The Guardian, Moira Donegan, costringere una persona alla gravidanza non è come costringere un cittadino a pagare le tasse, perché l’evento non avviene in un tribunale o all’interno di un bilancio statale, ma all’interno del proprio corpo. Ed “esiste una condizione più essenziale per la cittadinanza democratica del controllo di una persona sul proprio corpo? Possiamo definirci un paese libero senza di essa?”, si chiede la columnist.

    Lo stato di salute della democrazia americanpa è a rischio anche se si considera un altro aspetto, e cioè che in una democrazia i diritti vanno a braccetto e si trovano su “un piano inclinato”, come dice Cecilia Strada: se si inizia a togliere un diritto a qualcuno, saranno sempre di più quelli a cui lo si potrà negare. Se la Roe v Wade si basava sul riconoscimento del diritto alla privacy inteso come diritto alla libera scelta per quanto riguarda le questioni della sfera intima di una persona e questo diritto verrà messo in discussione, ad essere minacciate saranno molte altre libertà legate alla stessa sfera, come quella alla contraccezione, al matrimonio tra persone dello stesso sesso o la depenalizzazione del sesso tra omosessuali.

    Nel momento in cui la Corte suprema ha deciso di esaminare la legge del Mississipi sull’aborto ha spianato la strada alla possibilità di legiferare sulle libertà personali dei cittadini americani in molti altri ambiti, e attraverso metodi che potrebbero rivelarsi altrettanto invadenti e crudeli. “Nel momento in cui accettiamo che ci sia qualcuno a cui alcuni diritti vengono negati – dice Strada – dopodomani toccherà a noi“.

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