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    Turchia contro i curdi in Siria, attenti a quei due: Erdogan e Trump cosa vogliono? Tutto sul loro rapporto

    Credits. AFP

    Una reazione militare degli Stati Uniti sembra improbabile e la posizione di Trump nei confronti della Turchia appare contraddittoria

    Di Madi Ferrucci
    Pubblicato il 10 Ott. 2019 alle 14:42 Aggiornato il 10 Gen. 2020 alle 20:15

    La Turchia attacca i curdi in Siria: il rapporto tra Trump e Erdogan

    Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato di essere contrario all’attacco di Erdogan in Siria contro i curdi lanciato ieri 9 ottobre. Con un messaggio su Twitter del 7 ottobre aveva letteralmente minacciato la Turchia di ritorsioni commerciali: “Come ho già dichiarato con forza in passato, tanto per ripeterlo, se la Turchia farà qualcosa che io, dall’alto della mia impareggiabile e grandiosa saggezza, considero superare ogni limite, farò in modo di distruggere e cancellare l’economia della Turchia (l’ho già fatto in precedenza!)”, scriveva.

    L’avvertimento era arrivato poco dopo l’annuncio di Trump del ritiro delle truppe statunitensi dal nord della Siria. Ma la minaccia non sembra aver spaventato troppo Erdogan: il 9 ottobre intorno alle 15 è ufficialmente partita l’offensiva della Turchia nella Siria nord-occidentale: il bilancio delle vittime curde annunciato con orgoglio oggi da Erdogan è già di 109 morti. 10 i civili che hanno perso la vita solo nelle ultime ore.

    Sempre l’8 ottobre, quando già si paventava un attacco, con un nuovo tweet Trump elencava gli aspetti positivi del rapporto tra gli Stati Uniti e la Turchia: “Molte persone dimenticano che la Turchia è un grande partner commerciale degli Stati Uniti – infatti producono le strutture in acciaio per i nostri F35. Hanno anche rispettato i patti e mi hanno aiutato a salvare molte vite nella provincia di Idlib”, affermava.

    Un dietro front, che ha lasciato perplessi molti analisti internazionali. Trump ha davvero intenzione di rispondere all’attacco della Turchia contro i curdi? Minaccia di distruggere la loro economia e al contempo con un tweet ricorda al mondo quanto sia conveniente mantenere dei buoni rapporti commerciali con il paese membro della Nato. Una contraddizione ancora più forte riguarda l’allusione agli F35, Trump ricorda che la Turchia contribuisce alla loro realizzazione ma sembra aver del tutto dimenticato che proprio il 17 luglio scorso gli Stati Uniti hanno escluso la Turchia dal programma sui caccia. La decisione era stata presa in conseguenza  dell’acquisto da parte della Turchia del sistema missilistico russo S-400, che secondo quanto dichiarato dalla stessa Casa Bianca avrebbe indebolito “la promessa che tutti gli alleati della NATO si sono fatti tra loro di allontanarsi sempre di più dai sistemi russi”.

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    La posizione di Trump rispetto alla Turchia è senz’altro ambigua. La Turchia è un membro della Nato e un importante “partner commerciale”, ma già in passato l’inquilino della Casa Bianca è arrivato ai ferri corti con il leader di Ankara. Lo scorso agosto Trump aveva autorizzato un aumento delle tariffe sulle esportazioni turche di metalli e in pochi giorni la lira turca era caduta ai minimi storici nei confronti del dollaro. Il “casus belli” era la detenzione da parte della Turchia del pastore Andrew Brunson, rilasciato dalla Turchia solo in seguito alle dure conseguenze commerciali. Eppure Trump cita proprio il pastore Brunson nel tweet dello scorso martedì, per ricordare il fatto che la Turchia rimane un importante partner Nato.

    Il leader repubblicano ha voluto precisare con ulteriori tweet come il ritiro dalla Siria non significhi “un abbandono dei curdi” e dopo l’offensiva di ieri ha rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui afferma di non condividere l’invasione turca, aggiungendo che per questo motivo continuerà a “monitorare la situazione”, che cosa significhi questa affermazione rimane però oscuro.

    La Casa Bianca non è stata colta esattamente di sorpresa. Pochi giorni prima di Natale, alla fine del 2018, l’allora ex consigliere degli Stati Uniti per la sicurezza nazionale John Bolton era corso ad Ankara per convincere il governo turco a non attaccare le milizie curdo siriane (Ypg) una volta completato il ritiro degli Stati Uniti dal territorio. Ma Erdogan si rifiutò di incontrarlo, rispondendo con la sua “sonora” assenza alla richiesta degli Stati Uniti.

    Il mese successivo Erdogan scatenò nel cantone di Afrin due offensive contro le truppe curdo siriane. Difficile pensare che Trump non immaginasse quali sarebbero state le conseguenze del suo ritiro dalla Siria. Da sempre Ankara teme che i separatisti del Pkk turco avanzino richieste di indipendenza all’interno della stessa Turchia e per questo ha tutte le intenzioni di indebolire il più possibile la loro forza.

    Che Trump reagisca militarmente all’attacco turco, scendendo in campo in difesa dei curdi è piuttosto improbabile: si è ritirato sapendo già in parte quale reazione ci sarebbe stata da parte di Erdogan. Potrebbe forse sanzionare la Turchia economicamente, aumentare le tariffe su alcuni prodotti come già fatto in passato. Questa volta però non si tratta di un “incidente diplomatico” facilmente risolvibile ma di una guerra, e la Turchia sembra intenzionata a correre il rischio.

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