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    I servizi segreti turchi finanziano Al Shabaab. E da oggi l’Italia deve un favore a Erdogan

    Il giornalista turco Bozkurt a TPI: "Ho come il sentore che i servizi segreti turchi siano implicati, anche indirettamente, nel rapimento di Silvia Romano, dato che è una pratica in uso dal 2014 e che abbiano ottenuto il rilascio trasformando quest’ultimo in un credito per incassare qualcos'altro dagli italiani"

    Di Marco Cesario
    Pubblicato il 12 Mag. 2020 alle 19:03 Aggiornato il 12 Mag. 2020 alle 19:07

    Silvia Romano sequestrata con l’ausilio indiretto del Millî İstihbarat Teşkilât  (i servizi segreti turchi) e poi rilasciata su loro espressa richiesta come moneta di scambio per ottenere dal governo italiano favori in altri scenari come quello libico? Sembra fantascienza ma probabilmente non lo è, soprattutto se mettiamo in ordine una serie di fatti suffragati anche da inchieste della magistratura, rapporti di Ong ed ingiunzioni di tribunali. Ma occorre fare un passo indietro. Il 19 dicembre 2016 l’ambasciatore russo in Turchia Andrej Karlov veniva abbattuto da una serie di colpi di pistola sparatigli a distanza ravvicinata da Mevlüt Mert Altıntaş ufficiale di polizia turco. Nell’inchiesta sull’omicidio del diplomatico russo trapelava che Mevlüt Mert Altıntaş si era radicalizzato dopo aver letto un libro intitolato “Tüm Yönleriyle Suriye Devrimi” (La rivoluzione siriana in tutti gli aspetti) scritto da Abdulkadir Şen, figura radicale e di spicco di al-Qaeda. Abdulkadir Şen aveva precedentemente incontrato Mevlüt Mert Altıntaş ad Istanbul, giusto due mesi prima dell’omicidio come racconta anche il quotidiano turco Cumhuriyet. Questo fatto che sembra sprovvisto di legame con quanto accaduto alla nostra connazionale in realtà è estremamente importante.

    Nel fascicolo d’accusa del caso dell’omicidio dell’ambasciatore russo Andrei Karlov il governo turco, non solo decideva di non procedere contro Şen, agente coperto dell’intelligence turca (MİT) in Siria e poi in Somalia attraverso Ong turche, ma aggiungeva nel fascicolo una nota estremamente importante, un tentativo di smentire un’accusa molto pesante. L’accusa era che l’intelligence turca aveva consegnato centinaia di migliaia di dollari all’organizzazione terroristica Al Shabaab in Somalia attraverso l’intermediazione di un ex detenuto. Nella nota, la secca smentita governativa arrivava da un’investigazione condotta dal Financial Crimes Investigation Board turco (MASAK), un organismo tutt’altro che indipendente dato che operava sotto gli auspici del Ministero delle Finanze e del Tesoro turco, guidata dal genero di Erdoğan, Berat Albayrak. Berat è membro di una potente famiglia, Albayrak che in Somalia faceva affari d’oro anche con Al Shabaab. Nel 2018 Berat intenta una causa per diffamazione contro la giornalista Pelin Ünker (membro dell’International Consortium of Investigative Journalists) ed il quotidiano Cumhuriyet dopo che quest’ultimo nel novembre 2017 aveva pubblicato dettagli su come politici e gruppi industriali, tra i quali Albayrak, avevano nascosto denaro offshore, presumibilmente dunque anche in Somalia dove Albayrak operava. Ma questo lo vedremo tra poco.  L’atto d’accusa intanto, presentato il 23 novembre 2018 alla corte di Ankara, è già in sé un documento da far accapponare la pelle dei servizi segreti italiani, costretti a chiedere l’aiuto turco perché incapaci di localizzare e liberare Silvia Romano: nell’accusa si parla di Şen e del suo trasferimento di 600.000 dollari ad Al Shabaab a settembre e dicembre 2012. Per inciso, Şen oggi, dato che la giustizia turca ha deciso di non procedere contro di lui, è libero e continua a lavorare per Ong turche in Siria.

    Ma ritorniamo ad Albayrak. Nell’agosto del 2019 il giornalista turco Abdullah Bozkurt pubblicava un articolo in cui parlava dei legami oscuri tra ambasciata turca in Somalia ed il gruppo imprenditoriale Albayrak. Il Gruppo Albayrak, implicato in diverse inchieste per corruzione in Turchia e all’estero, conduceva i suoi progetti in Somalia “sotto l’egida dell’ambasciata turca”. Il Gruppo Albayrak, di proprietà della famiglia Albayrak, è noto per i suoi stretti legami con il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) di Erdoğan (abbiamo visto che membri della famiglia erano anche nel MASAK che insabbiò l’inchiesta sui finanziamenti in Somalia ad Al Shabaab). Il gruppo controlla il quotidiano Yeni Safak, un giornale islamo-conservatore, due reti televisive nazionali, oltre a Kanal 7 e Ülke TV. Il gruppo Albayrak è stato il più fedele sostenitore della politica neo-ottomana di Erdoğan da quando il suo partito è salito al potere nel novembre 2002 ed è diventato una colonna portante della sua nuova struttura mediatica. Inoltre membri della famiglia Albayrak avevano frequentato insieme a Erdoğan negli anni Settanta l’İstanbul İmam-Hatip, una scuola pubblica religiosa.

    In Somalia dunque il Gruppo Albayrak ha edificato molto: immobili dal 2011, poi ha rilevato il porto di Mogadiscio nel 2014 e attraverso questo porto, come segnalato  da un rapporto sulla corruzione in Somalia redatto dal GAN Integrity (basato a New York York), ha fatto proliferare affari loschi, corruzione e tangenti che sono serviti, racconta il giornalista,  come fonte di finanziamento per i ribelli armati come Al Shabaab. Qualche anno dopo  il capo dell’autorità fiscale del porto di Mogadiscio, Ahmed Ali Samow, e altri nove alti funzionari sono stati poi arrestati per aver dirottato i dazi riscossi del porto nel 2018 su altre attività. Quali? Va detto a scanso di equivoci che la Turchia è un alleato chiave e un importante donatore del governo somalo negli sforzi per ricostruire il paese dopo oltre due decenni di conflitti e carestie. Erdogan è diventato il primo leader non africano a visitare la Somalia in quasi 20 anni, quando vi si è recato nel 2011. Nel 2017, la Turchia ha aperto una base militare a Mogadiscio per addestrare i soldati somali e le esportazioni turche verso il continente africano hanno raggiunto i 121 miliardi di dollari nel 2019. Ma dove vanno tutti questi soldi?

    Dopo dunque la pubblicazione di quest’articolo svelante i legami tra intelligence turca ed Al Shabaab (ufficialmente sono in guerra dato che Shabaab continua a colpire obbiettivi turchi in Somalia come ricorda l’ICT, International Institute for Counter-Terrorism), si muove addirittura l’ex ambasciatore turco in Somalia Cemalettin Kani Torun (fedelissimo di Erdoğan) e la sua denuncia spinge il tribunale turco a bloccare l’accesso al post sull’account Twitter del giornalista e sui siti web somali che condividevano l’articolo. Ma cosa temeva esattamente l’entourage di Erdoğan? L’articolo bloccato dal tribunale rivelava non solo gli interessi politici e commerciali del presidente Erdoğan in Somalia dal 2011 e le sue attività – per usare un eufemismo – ambigue nel paese, ma anche un altro fatto: la nomina dello stesso Torun che fece censurare l’articolo. Torun, medico ed islamista convinto, ambasciatore non in carriera a Mogadiscio nel 2011. Torun che, secondo la ricostruzione di Bozurt, ha incanalato milioni di dollari verso i soci d’affari di Erdoğan ed aveva incontrato segretamente i leader terroristici di Al Shabaab vendendo loro armi fin dal 2014. Per i suoi servizi Torun è stato largamente ricompensato da Erdoğan, che lo ha nominato consigliere capo nel 2014 e poi deputato in parlamento un anno dopo.

    Veniamo dunque a Silvia Romano. Sequestrata da Al Shabaab in Somalia e liberata proprio dall’intelligenza turca, con le informazioni che ora abbiamo in possesso non si tratta forse di uno strano ed inquietante cortocircuito? Noi di TPI lo abbiamo chiesto direttamente a Bozkurt che pubblicò quell’articolo poi censurato e che ancora oggi, fuori di Turchia, protegge le sue fonti: “Ho l’impressione – basata su quello che ho visto in diversi casi di rapimento del 2014 in Siria – che il MIT potrebbe essere indirettamente coinvolto nel rapimento e che abbia ottenuto il rilascio trasformando quest’ultimo in una sorta di campagna di marketing a proprio favore ottenendo tra l’altro crediti per incassare qualcos’altro dagli italiani, in altri scenari, forse quello libico. Non bisogna dimenticare che la Turchia ha il più grande complesso di ambasciate mai realizzato a Mogadiscio, gestisce una base militare, controlla sia l’aeroporto che i porti”.

    Dichiarazioni certo da prendere con le pinze ma occorre considerare anche questo dato semplice che rafforza l’ipotesi di Bozkurt: il giornalista turco Can Dündar è stato condannato all’ergastolo ed è dovuto scappare in Germania per sfuggire alla giustizia turca per aver pubblicato un articolo in cui mostrava come i servizi segreti turchi (il Millî İstihbarat Teşkilât) facevano passare armi di nascosto ai jihadisti dello stato islamico (Daesh) in Siria attraverso un confine turco-siriano fin troppo “poroso” all’epoca. Ora sapendo dunque che questi stessi servizi segreti turchi, più volte accusati di spalleggiare e foraggiare gruppi armati radicali in chiave ora anti-Assad, ora anti-curda, sono implicati nella liberazione di Silvia da un noto gruppo armato jihadista (che per inciso ha lo stesso vessillo dello stato islamico) allora qualche domanda è lecito porsela.

    Insomma servizi segreti italiani che fanno accordi sottobanco con la Turchia per ottenere la liberazione di Silvia Romano ed il ruolo del Millî İstihbarat Teşkilât che resta più che ambiguo: finanzia direttamente o indirettamente gruppi jihadisti gravitanti attorno all’orbita turca, gruppi che spianano poi il campo all’influenza neo-ottomana, ad accordi commerciali ed affari d’oro, alla formazione paramilitare di soldati contro il nemico jihadista salvo poi parlamentare con loro per ottenere la liberazione. Il cerchio così si chiude. Una liberazione che verrà probabilmente usata come moneta di scambio geopolitica e che costerà in termini politici molto di più di un esoso riscatto all’Italia.

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