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Le ragazze di Herat

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Le donne afghane si sentono spesso deboli e insicure. Ma lo sport si sta dimostrando un mezzo per superare la paura della violenza

Sopra il velo indossa un cappellino da cricket. Lo sguardo è nascosto da occhiali da sole che lei, in segno di educazione, toglie immediatamente quando comincia a parlare.

Gli afghani tengono molto a questa forma di rispetto e non amano dialogare con qualcuno che non consenta, a sua volta, di essere guardato diritto negli occhi. Dal tono di voce e dall’atteggiamento risoluto e spigliato, si capisce subito che Firoza Gulmakay Wahedi non è una donna afghana rassegnata alla sottomissione.

Si intuisce anche che la sua voglia di spronare ragazze giovani a fare altrettanto non si esprime solo a parole, ma a fatti. È proprio questa concretezza che l’ha portata, nel 2002, a fondare a Herat l’associazione ”Women economy, social and sport development” (Sviluppo economico, sociale e sportivo per le donne).

Fin da subito, gli sport che Firoza ha scelto per le ragazze che, via via, hanno aderito all’associazione, non sono stati casuali. Il taekwondo è stato il primo. “Le donne si sentono spesso deboli e insicure. Ciò influisce anche sulla loro forza psicologica, che così risulta compromessa. Un’arte marziale non può che farle sentire più padrone di se stesse, più capaci di reagire alle sopraffazioni e alla violenza”, spiega lei. Quasi subito, alle arti marziali si è aggiunto il cricket. “Un’attività che favorisce lo spirito di gruppo, ma anche la socializzazione tra donne che, per ottenere la vittoria, devono rincorrere gli stessi obiettivi”.

Lo scopo della signora Wahedi è proprio quello di spingere le ragazze a comunicare tra loro attraverso lo sport, approfittando delle pause tra un allenamento e l’altro per confidarsi i problemi, scambiarsi idee e ampliare le proprie vedute. Della squadra, infatti, fanno parte tanto ragazze inserite in famiglie più rigide che le vorrebbero educare come “mogli sottomesse”, quanto giovani che hanno genitori disponibili a farle studiare. In alcuni casi, per le prime ci sono stati problemi e Firoza ha ricevuto qualche minaccia, accuse di sobillare le adolescenti e portarle a disobbedire alle regole.

In realtà, le componenti della squadra di cricket rispettano i princìpi religiosi e, anche durante le partite, vestono in modo rispondente agli stessi. Da qualche tempo, la tenacia e gli sforzi di Firoza nella difficile battaglia per l’emancipazione femminile, sono stati notati e premiati. Il Prt, Provincial Reconstruction Team dei militari italiani di stanza a Herat, che finanzia progetti socialmente rilevanti attraverso i fondi del Ministero della Difesa, le ha messo a disposizione un ampio spazio del “female garden”. Il “giardino delle donne” è composto da una palazzina di due piani che verrà aperta entro il 31 marzo e da un terreno dove Firoza e le sue ragazze già si allenano nelle giornate più calde.

Il palazzetto è stato predisposto per ospitare anche una biblioteca, dove le frequentatrici del “giardino femminile” potranno trovare libri destinati ad aprire sempre di più le loro menti, e la sede di un’altra associazione, la “Voice of the women” di Suraya Pakzad, che si batte contro la violenza degli uomini e per dare assistenza legale alle donne maltrattate. Nel frattempo, Firoza sta ampliando la gamma delle attività programmate. “Ai nostri sport abbiamo aggiunto anche il basket e la pallavolo. Vogliamo che la casa delle donne diventi un centro per attività sportive di tutti i tipi”, dice.

Mentre parla, cercando di trasmettere la sua passione e il suo entusiasmo, un uomo che le è accanto la osserva. È rimasto in silenzio tutto il tempo. Firoza intuisce la domanda che potrebbe esserle rivolta mettendo in dubbio la sua libertà e il suo coraggio, così anticipa la risposta. “Lui è mio marito, ma non mi sta controllando come accade da queste parti. Lui condivide le mie scelte, le ritiene giuste anche se a volte è preoccupato per me”, rivela.

“Stimo tanto mia moglie per quello che fa”, interviene il consorte, “temo per lei perché la mentalità di alcuni stenta a cambiare. Per fortuna viene protetta dai militari italiani e da tante persone che cominciano a ragionare in maniera più serena su quello che il nostro Paese dovrebbe diventare”. È proprio un Afghanistan diverso dal passato quello che Firoza e suo marito rappresentano.

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