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Home » Esteri

“Ho ucciso più di cento persone e non me ne pento”, parla un ex affiliato Isis

Immagine di copertina
Immagine tratta da un video diffuso dall'Isis a Raqqa nel 2014.

Nel 2011 Khaled era tra coloro che manifestavano pacificamente in Siria, ma è stato risucchiato nella spirale dello spargimento di sangue ed è diventato un assassino

Isis | Testimonianza killer Siria

“Quando mi guardo allo specchio mi vedo come un principe. E dormo bene la notte, perché chiunque mi abbiano chiesto di uccidere, meritava di morire”.

Khaled* è un ex affiliato dell’Isis. Da quando ha lasciato la Siria, è tornato a vestire i panni di un civile. Ma per alcuni anni, durante la guerra civile siriana, ha combattuto nelle fila dei gruppi ribelli anti-Assad. Poi si è ritrovato a fare il doppio gioco, spiando il sedicente Stato Islamico dall’interno.

La sua storia è stata raccontata nel documentario Syria: The World’s War, in onda il 3 e il 4 maggio sulla rete britannica Bbc: la storia di come un manifestante pacifico sia stato risucchiato nella spirale dello spargimento di sangue ed è diventato un killer.

Da manifestante ad aspirante assassino

All’alba della rivoluzione siriana, nel 2011, Khaled lavorava come organizzatore di pellegrinaggi. Racconta che in quel periodo “era un po’ religioso, ma non in modo rigido” ed era un uomo di pace.

Nei primi giorni di manifestazioni antigovernative, si unisce a un gruppo di 25-39 persone che protesta contro il regime di Bashar Al-Assad. Nessuno di loro usa le armi (“non avevamo il coraggio”, sostiene Khaled), ma le forze governative arrestano e picchiano i manifestanti.

Un giorno tocca proprio a Khaled essere arrestato.

“Mi hanno preso in casa e mi hanno portato al dipartimento di sicurezza, poi in altri dipartimenti”, ha raccontato alla Bbc. “Infine alla prigione centrale, dove sono rimasto un mese prima che mi rilasciassero”.

La detenzione di Khaled è stata segnata soprattutto da un individuo, che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua storia personale.

Il nome di questa persona non viene rivelato nell’intervista, ma Khaled dice che si tratta di una guardia del dipartimento di sicurezza del regime siriano.

La guardia ha torturato Khaled sia fisicamente sia psicologicamente.

“Mi costringeva a inginocchiarmi di fronte a una foto del presidente Assad e mi diceva: ‘Il tuo dio morirà, mentre lui no. Dio muore, mentre Assad resiste”.

Quest’uomo era solito far appendere le braccia di Khaled al soffitto con delle catene, lo costringeva a spogliarsi, lo faceva sdraiare su una pedana chiamata “tappeto volante” e lo frustava sulla schiena.

Nel frattempo gli urlava: “Ti odio, ti odio, voglio che tu muoia”.

Quando Khaled ha lasciato la prigione era paralizzato dal dolore alla schiena. Racconta che gli altri detenuti alla prigione centrale sono scoppiati in lacrime quando lo hanno visto mentre veniva trasportato all’interno su una barella.

“Ho deciso che se dio mi avesse salvato avrei ucciso quella guardia ovunque fosse”, ha detto alla Bbc.

L’addestramento

Quando Khaled fu liberato dal carcere, si unì ai ribelli che si erano armati contro il governo. Ad addestrarlo alla guerra fu il gruppo islamista di Ahrar al-Sham, in un campo di aviazione di Aleppo.

Qui un francese gli insegnò come usare pistole e fucili di precisione.

“I nostri obiettivi durante le esercitazioni erano soldati del regime, che avevamo preso come prigionieri”, racconta. “La maggior parte degli omicidi avveniva da una motocicletta. Mentre un altro uomo era alla guida e affiancava la macchina con a bordo il tuo obiettivo, tu sparavi e lo uccidevi”.

Khaled ha imparato anche a pedinare le persone e a uccidere in maniera sistematica. A metà del 2013, quando l’esercito siriano si ritirò dalla città di Raqqa, fu pronto. Divenne uno dei comandanti di Ahrar al-Sham, incaricato dell’ufficio di sicurezza di Raqqa.

La vendetta

Con il gruppo di ribelli di cui era parte, Khaled iniziò a rapire alcuni soldati governativi che si trovavano nel nordest del paese, vendendo i loro beni per ottenere soldi con cui comprare armi.

In alcuni casi, costringeva i suoi ostaggi a fare dei video in cui si dichiaravano disertori, in modo che non potessero più combattere per Assad. Normalmente risparmiava le loro vite, ma non ebbe alcuna pietà quando incontrò il suo ex aguzzino.

“Ho chiesto di lui in giro, finché non l’ho trovato. Lo abbiamo seguito a casa, e l’ho catturato”, racconta Khaled.

“Quando era in prigione mi aveva detto: ‘Se esci di qui vivo e riesci a catturarmi, non avere pietà di me’. E questo è quello che ho fatto”.

Khaled ha portato l’uomo in una fattoria. Gli ha tagliato la mano con un coltello da macellaio, poi la lingua con delle forbici.

“L’ho ucciso quando mi ha implorato di farlo”, racconta oggi, “Era la mia vendetta, per cui non avevo paura. Nonostante tutte le torture che ho usato con lui, non mi sono pentito. Se tornasse in vita adesso rifarei le stesse cose”.

Khaled dice che se ci fosse stata un’autorità a cui chiedere giustizia lo avrebbe fatto. Ma non c’era nessuno a cui rivolgersi, né nessuno stato che avesse potuto fermarlo nella sua vendetta.

Assassino per lo Stato islamico

All’inizio del 2014 l’Isis prense il controllo di Raqqa, scacciando i ribelli. La città divenne così la capitale del “Califfato”, venendo riconquistata solo a ottobre 2017 grazie all’offensiva dei curdi.

Mentre la città finiva sotto il controllo dei terroristi, Khaled lasciò il gruppo di Ahrar al-Sham e si unì al Fronte al-Nusra, allora affiliato di al-Qaeda in Siria. Aveva ormai perso le speranze sulla rivoluzione, e cercava esclusivamente di sopravvivere.

I miliziani dell’Isis terrorizzavano la popolazione civile con decapitazioni, crocifissioni e lapidazioni di innocenti.

A un certo punto offrirono a Khaled un lavoro come “capo della sicurezza”, con un ufficio e un ruolo di comando sui miliziani dell’Isis. Rifiutare equivaleva a una condanna a morte, così accettò, ma d’accordo con un importante leader di al-Nusra, Khaled iniziò a fare la spia all’interno dell’Isis.

“Mostravo all’Isis il mio volto amichevole, ma in segreto rapivo e interrogavo i suoi membri, poi li uccidevo. Davo all’Isis qualche informazione, alcune cose erano vere, altre false, ma prendevo anche dei segreti da loro”.

Khaled sostiene di aver ucciso circa 16 persone per l’Isis, colpendole nelle loro abitazioni con pistole con il silenziatore. Sostiene che avevano venduto per soldi la loro religione, tradendo Ahrar al-Sham e l’Esercito libero siriano, l’alleanza appoggiata dall’Occidente che per prima aveva preso il controllo di Raqqa dal regime.

Appena un mese dopo essersi messo al servizio dell’Isis, Khaled capì che presto i miliziani lo avrebbero eliminato. Così scappò in auto fino alla città di Deir al-Zour, poi si diresse in Turchia. Oggi non ha alcun rimorso per quello che ha fatto.

“Ho ucciso più di cento persone in battaglie contro il regime e contro l’Isis, e non me ne pento, perché Dio sa che non ho mai ucciso un civile o una persona innocente”.

*Nome di fantasia usato nel documentario della Bbc “Syria: The World’s War” in onda il 3 e il 4 maggio.

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