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La storia del bambino schiavo pakistano diventato simbolo della lotta al lavoro minorile

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Iqbal Masih fu venduto a 4 anni al proprietario di una fabbrica di tappeti che lo ridusse in schiavitù. A 10 anni scappò e lo denunciò, ma venne ucciso

Con le sue piccole dita agili e veloci, Iqbal Masih intrecciava tappeti in una fabbrica locale in Pakistan. A soli quattro anni, il bambino fu venduto dalla sua famiglia poiché non era in grado di sanare un debito pregresso di soli dodici dollari. Iqbal venne acquistato dal proprietario di una piccola azienda di tappeti e filati che lo ridusse in schiavitù.

Per sei lunghi anni, Iqbal fu costretto a lavorare dieci o dodici ore ininterrotte per una rupia al giorno. A lui fu riservato uno spazio angusto in compagnia di tanti altri bambini sfortunati come lui. Intrecciava i fili con le sue mani piccole e veloci, realizzava dei nodi perfetti e resistenti, ma il suo lavoro non era mai sufficiente a ripagare il suo debito che cresceva sempre di più. Per questo motivo, il bambino subiva il più delle volte vessazioni e maltrattamenti fisici dal suo padrone. 

Tutto questo durò fino all’età di dieci anni, quando Iqbal un giorno riuscì a evadere da quella prigione, grazie anche al supporto di un gruppo di attivisti locali. Qui ebbe modo di incontrare e conoscere Ehsan Ullah Khan, all’epoca presidente del Fronte di Liberazione dal lavoro forzato, impegnato nella lotta contro i proprietari di fabbriche tessili e di tappeti che impiegavano i bambini come manodopera a basso costo.  

Sotto la protezione di Ullah Khan, il ragazzo si fece portavoce dei bambini sfruttati e maltrattati nelle fabbriche o in altri luoghi di lavoro, e il suo impegno sociale nella difesa dei diritti dei minori crebbe in maniere esponenziale. Iqbal venne invitato a diverse conferenze di respiro internazionale, dove ebbe modo di denunciare le condizioni disumane dei suoi coetanei in Pakistan. Piano piano, l’ex schiavo-bambino ormai cresciuto era diventato il simbolo della lotta al lavoro minorile.

Ovviamente la sua notorietà divenne ben presto un’arma a doppio taglio: le sue denunce e le accuse lanciate contro i proprietari di fabbriche tessili si facevano sempre più incendiarie, e nel contempo attiravano l’ira e la reazione contrariata della categoria chiamata in causa. Non mancarono le minacce verso il ragazzo, diventato il simbolo di speranza per sei milioni di bambini in Pakistan e non solo, sfruttati e offesi. 

Le minacce si morte si trasformarono ben presto in realtà: il 16 aprile del 1995, Iqbal in sella a una bici stava facendo rientro al suo villaggio, situato a 40 chilometri da Lahore, quando venne ucciso da un gruppo di uomini, appartenenti a una rete mafiosa che gestiva il commercio di tappeti e il reclutamento dei bambini-schiavi nelle fabbriche. Iqbal aveva solo dodici anni, quando morì a pochi passi da casa. 

Dopo la sua morte, un operaio del villaggio venne arrestato per l’assassinio. “Sappiamo che la sua morte è stata organizzata da quella mafia che si cela dietro le produzioni di tappeti”, così commentò l’uomo che salvò Iqbal dalla schiavitù, Ehsan Ullah Khan, presidente del Fronte di Liberazione del Lavoro illegale, una volta appresa la notizia della morte del ragazzo. 

Tuttavia, l’impegno di Iqbal nella lotta all’affermazione dei diritti dei minori e nella difesa dei bambini-schiavi non è mai venuta meno. Grazie a lui e alle proteste che con lui erano state messe in atto in tutti il Punjab, decine di fabbriche in Pakistan furono costrette a chiudere. Le sue denunce e le sue testimonianze travalicarono i confini pakistani, approdando in occidente. Molti negozi europei destinatari della merce prodotta nelle industrie tessili pakistane iniziarono a tutelare i diritti dei minori, assicurandosi che il lavoro minorile non fosse alla base della produzione dei tappeti acquistati nei negozi dell’Asia meridionale. 

I governi di Pakistan e India, dal canto loro, cominciarono a introdurre delle norme che vietavano il lavoro minorile, anche se non sempre venivano applicate, secondo le denunce di numerosi gruppi di attivisti locali. Le organizzazioni per i diritti umani s’impegnarono a persuadere alcuni negozi dall’acquistare tappeti provenienti da paesi in cui i diritti dei bambini non erano tutelati. 

Al di là di ciò, ancora oggi a distanza di due decenni, il fenomeno dello sfruttamento dei bambini è ancora una piaga non del tutto sconfitta in numerosi paesi dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale. Secondo un recente rapporto dell’Unicef, in Asia meridionale sono 77 milioni i bambini e i ragazzi che lavorano, mentre in Pakistan l’88 per cento dei lavoratori impiegati in diversi settori lavorativi ha un’età compresa tra i 7 e i 14 anni. In Bangladesh i bambini lavoratori rappresentano il 48 per cento, in India il 40 per cento e in Sri Lanka il 10 per cento. 

Nel mese di gennaio del 2017, il Pakistan ha introdotto un’altra norma la quale stabilisce che chiunque impiega un minore al di sotto dei 14 anni commette un reato, punibile con la detenzione fino a sei mesi e con multe fino a 50mila rupie (circa 446 euro). Ma secondo gli attivisti locali, ancora una volta la norma introdotta è una chiara contraddizione, poiché l’articolo 25 della Costituzione pakistana garantisce l’istruzione obbligatoria e gratuita a tutti i minori tra i 5 e i 16 anni di età. Quindi la legge è una chiara contraddizione”.

La norma conosciuta come “Sindh Prohibition of Employment of Children Bill 2017”, rende illegale il lavoro al di sotto dei 14 anni, e pone ad aziende e fabbriche limiti precisi per l’assunzione dei giovani tra i 14 e i 18 anni. Nel caso di impiego di bambini in lavori rischiosi, le multe salgono fino a 100mila rupie (892 euro). La spinta ad approvare una legislazione in materia, già in vigore nelle province del Punjab e di Khyber Pakhtunkhwa, proviene dalla vicenda di Tayyaba, una bambina di 10 anni impiegata a Islamabad come domestica.

La bambina era stata torturata dalla sua padrona – la moglie di un giudice distrettuale – perché aveva smarrito una scopa. Il caso aveva sollevato polemiche e indignazione generale. Un caso simile è avvenuto nel 2010, quando Naeem Chaudhry, ex presidente della Lahore High Court Bar Association (la più antica associazione di avvocati della città), è stato accusato di aver ucciso Shazia Shaheen, la sua domestica cristiana di appena 12 anni.

Secondo le stime delle organizzazioni internazionali, in Pakistan la piaga del lavoro minorile coinvolge circa 12,5 milioni di bambini. Negli ultimi sei anni sono morti almeno 60 bambini lavoratori, in maggioranza femmine. Un altro rapporto risalente al 2015 sul traffico di esseri umani redatto dal Dipartimento di stato americano, evidenzia come moltissimi bambini (anche intorno ai 5 anni) sono venduti o rapiti per essere impiegati nella produzione di mattoni. 

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