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Il mercante onesto

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Un giovane cinese possiede bancarelle di fiori e lascia che ci si possa servire da soli. Il pagamento si basa sulla fiducia

Due anni fa Liu Haisheng era solo uno dei milioni di studenti universitari cinesi in difficoltà a pagare la retta accademica, costretto a ingegnarsi per trovare una fonte di reddito alternativa necessaria a mantenersi e poter concludere gli studi.

Liu frequentava l’Università agricola e forestale del Fujian, a Fuzhou, capitale politica ed economica della ricca provincia sudorientale della Cina, snodo nevralgico dell’arrembante sviluppo dell’ultimo trentennio grazie alla posizione geografica favorevole, a una ricercata tradizione artigiana che poté apprezzare persino Marco Polo e alla precoce apertura agli investimenti stranieri negli anni Ottanta di Deng Xiaoping.

La città e il suo industrioso porto fluviale all’estuario del fiume Min, dove nell’Ottocento furono impiantati i primi cantieri navali moderni del Paese e che costituì una porta d’accesso per la penetrazione commerciale e militare degli occidentali, si allineano sulla riva sinistra, circondati da colline boscose.

Sulla riva opposta, all’estremità settentrionale di un isola creata da una diramazione del corso d’acqua in un’area rurale della circoscrizione cittadina, sorge il complesso dell’Università agricola e forestale. La posizione prossima alle campagne e non soffocata dai fumi della metropoli ha spinto Liu, ancora una matricola del primo anno, ad aprire un modesto negozietto per vendere fiori, cactus e piantine ornamentali che lui stesso coltivava.

La frequenza alle lezioni però lo costringeva ad assentarsi a lungo dalla sua piccola attività lasciando incustoditi i circa 200 vasi della sua bancarella, finché un giorno, impossibilitato a tornare, permise a un cliente di servirsi da solo nel negozio, lasciando i soldi da qualche parte.

Quando si recò a verificare l’effettivo pagamento, Liu trovò i soldi sotto un vaso e da allora, galvanizzato dal successo di quel primo scambio, decise di adottare in maniera permanente questo metodo di vendita basato sulla fiducia sociale, dotandosi di un porcellino blu in ceramica e di una targhetta su cui si invitano i clienti a introdurre denaro nel salvadanaio, arrivando a vendere in questo modo più di 20 mila vasi in due anni.

La fiducia è redditizia e gli affari girano talmente bene che ha aperto altre sei bancarelle in altri due campus universitari della città e nessuno l’ha mai derubato, anzi al quotidiano locale “Notizie del Fujian” ha addirittura dichiarato: “qualche volta trovo più soldi del dovuto nel porcellino, alcuni clienti lasciano dieci yuan (poco più di un euro e venti centesimi) per fiori che ne costano nove e non si preoccupano del resto”.

Liu si auspica che questa storia possa stimolare il credito verso le altre persone in una società dove in nome dello slogan ”arricchirsi è glorioso”, si è diffusa ogni tipo di condotta scorretta sfilacciando una profonda cultura delle relazioni sociali. D’altronde Liu nella sua opera vanta nobilissimi predecessori. Infatti è nato in queste regioni anche Zhu Xi, il sommo filosofo del XII secolo che scrivendo i canoni della letteratura confuciana propugnava la difesa della moralità nei comportamenti e auspicava la “società armoniosa”, tornate parole d’ordine della dottrina ufficiale dello Stato dopo 800 anni.

Oggi Liu Haisheng è laureato e la sua originale avventura imprenditoriale dai quotidiani locali è rimbalzata fino alle pagine delle testate nazionali. Ma questo giovane intraprendente e confidente negli altri non si ferma e promette di aprire nuove bancarelle nelle strade anche al di fuori dei campus universitari. Su internet in molti hanno predetto con amaro sarcasmo che se i clienti non saranno gli educati studenti universitari, si ruberanno persino il porcellino blu. Finora però il mercato della correttezza va a gonfie vele perché, assicurano i sociologi, in una comunità il costo sociale della perdita della reputazione è superiore al limitato vantaggio momentaneo ottenuto dal furto o dall’imbroglio.

Forse la sua piccola rivoluzione non sconvolgerà la mentalità dei fujianesi, ma di sicuro ha già contribuito a far scorrere l’onestà a valle del fiume Min, che irriga a nord tutta l’antica provincia chiamata Fu-Jian, che alcune fonti dicono significhi, appunto, “Felice Jian”.

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