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    Etiopia, don Mussie Zerai a TPI: “Subito cessate il fuoco e corridoi umanitari nel Tigray, il rischio è che ci siano milioni di sfollati”

    A sinistra soldati etiopi. A destra Mussie Zerai (Credit: Benoit Doppagne/Belga/ZUMAPRESS)

    Il 4 novembre il governo federale guidato dal premier Abiy Ahmed, premio Nobel per la Pace, ha lanciato un'offensiva militare nella regione settentrionali del Tigray, che ha già provocato centinaia di morti e rischia di produrre milioni di sfollati

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 12 Nov. 2020 alle 12:38 Aggiornato il 12 Nov. 2020 alle 12:41

    “Negli ultimi 100 anni nel Corno d’Africa non si è fatto altro che guerra, la gente non ce la fa più. Ogni volta che tenta di rialzarsi arriva una guerra, non è possibile”. È lo sfogo di don Mussie Zerai, sacerdote eritreo che vive in Italia e che da anni si occupa dei diritti di profughi e rifugiati. Con l’agenzia da lui fondata, Habeshia, il prete ha lanciato oggi un appello per la situazione in Etiopia, dove il governo federale guidato dal premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed lo scorso 4 novembre ha lanciato un’offensiva militare nella regione settentrionali del Tigray.

    Il premier etiope ha accusato il partito al governo nella regione, il Fronte di liberazione popolare del Tigray, di aver attaccato due basi militari federali, oltrepassando una “linea rossa” nel suo tentativo di destabilizzare il paese, ma il presidente del Tigray Debretsion Gebremichael ha negato di aver attaccato le truppe federali. Inoltre, il governo regionale è accusato di aver disobbedito all’ordine di Addis Abeba di rinviare il voto a causa dell’emergenza Covid-19, dal momento che lo scorso settembre hanno tenuto le elezioni per scegliere i propri rappresentanti.

    L’attacco militare ha già provocato centinaia di morti secondo l’agenzia Reuters, anche se stime precise sono molto difficili a causa della chiusura delle comunicazioni dalla regione. Secondo le Nazioni Unite il rischio è che 9 milioni di persone siano sfollate e per l’Unhcr già 11mila rifugiati sono fuggiti in Sudan. Nella regione vivono inoltre più di 96mila eritrei nei campi profughi, la cui sussistenza è a rischio.

    “Qualunque sia la causa di questo già così sanguinoso conflitto“, si legge nel comunicato stampa diffuso da Habeshia, “occorre fermarsi subito, prima che la situazione, già difficilissima, diventi irreversibile“. L’appello è che le parti in lotta facciano subito tacere le armi in Etiopia e le maggiori istituzioni internazionali intervengano per aprire un dialogo nella regione. “Se non sarà fermata subito”, dice Mussie Zarai a TPI, “questa guerra sposterà migliaia – se non milioni – di persone”.

    Don Mussie Zerai, il vostro appello è urgente. Perché chiedete di intervenire in Etiopia “prima che la situazione diventi irreversibile”?
    Il mondo è in piena pandemia e il Covid-19 non ha risparmiato l’Etiopia. In più, il paese ha un altro grave problema, soprattutto nel nord. La devastazione delle locuste creerà una grossa crisi alimentare. Con l’aggiunta della guerra diventa un disastro totale.
    Siete riusciti ad avere notizie dalla zona, nonostante il blocco delle comunicazioni?
    In questi giorni è difficile. Qualcosa è riuscito a trapelare all’inizio, quando tutto era appena cominciato, ma ora molte vie di comunicazione sono bloccate e quindi stiamo seguendo la situazione tramite le notizie che arrivano.

    Qual è la situazione dei profughi eritrei in Etiopia?
    In quella zona ci sono anche quattro campi dove vivono profughi eritrei. In questo momento, non riescono neanche a ricevere gli aiuti che le varie organizzazioni internazionali portano ogni due settimane per la sopravvivenza della popolazione. A causa della guerra molti di questi aiuti infatti sono bloccati, alcuni a Macallè e altri in altre città. Questo provocherà altre sofferenze, fame e possibilmente anche fuga. Stiamo già assistendo a persone che scappano verso il Sudan, con tutti i rischi che questo comporta.
    Peraltro, lei già a settembre lanciava un allarme sui profughi eritrei, che rischiavano di essere rimpatriati dall’Etiopia. 
    Sì, perché in base all’accordo di pace firmato dai due paesi, l’Etiopia aveva già cominciato a non riconoscere più come bisognosi di protezione internazionale i rifugiati civili. Chi scappava dalle fila del servizio militare veniva accolto come richiedente asilo, invece donne, bambini o altri civili in fuga dalla dittatura non erano accolti. Sono lì, liberi di girare, ma senza nessuna forma di protezione, privi di documenti e diritti. Sono in balia di chi vuole sfruttarli, perché non hanno nessuna tutela. Questo non aiuta chi chiede protezione.
    Con la guerra cosa succederà?
    La guerra peggiorerà la loro condizione già precaria. Quella zona dell’Etiopia vive in povertà, eppure finora manifestava qualche forma di solidarietà verso i rifugiati eritrei. Adesso sarà difficile, sarà la stessa popolazione ad essere in difficoltà.

    Non le sembra assurdo che un premio Nobel per la Pace abbia iniziato quella che sembra a tutti gli effetti una guerra civile, per quanto lui sostenga che sia una questione interna che si risolverà velocemente?
    Ovviamente non sono dentro le problematiche che hanno provocato tutto questo. Non ho tutti gli elementi. Però la guerra non risolve mai nulla, porta con sé morte e distruzione. Il rischio è quello di esacerbare gli animi e portare ancora più rancore e odio, invece di portare a una soluzione. Spero che il premier etiope ascolti le richieste che arrivano dai vari leader mondiali e dalla comunità internazionale per sedersi al tavolo e trovare una soluzione pacifica. Altrimenti c’è il rischio di trascinare alcuni paesi vicini e incendiare l’intera regione.

    Nel comunicato citate il rischio di un coinvolgimento dell’Eritrea.
    Sì, le notizie che arrivano non ci rassicurano. La nostra preoccupazione è che, con il coinvolgimento di altri paesi, la situazione diventi pericolosa per l’intero Corno d’Africa. Negli ultimi 100 anni non si è fatto che guerra in quella regione, la gente non ce la fa più. Ogni volta che tenta di rialzarsi arriva una guerra, non è possibile.
    La regione inoltre è cruciale per gli equilibri dell’intero continente africano e non solo. Basti pensare agli arrivi in Europa di persone partite da quella zona per scappare dalla povertà o dalla guerra.
    Non solo, gli eritrei scappano anche dalla dittatura che nega loro diritti fondamentali. Questa guerra, se non sarà fermata subito, sposterà migliaia – se non milioni – di persone. L’Etipia ha più di 100milioni di abitanti, non è una piccola nazione con poca gente.
    Qual è dunque il vostro appello?
    Chiediamo che sia subito firmato un cessate il fuoco e che sia permesso agli operatori umanitari di raggiungere le zone isolate e colpite, dove ci sono i rifugiati che sono letteralmente alla fame. Bisogna portare i soccorsi lì dove servono e poi sedersi a un tavolo per dialogare e trovare una soluzione pacifica.

    Leggi anche: 1. Premio Nobel per la pace 2019 al premier etiope Abiy Ahmed /2. Come è cambiata l’Etiopia con il premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed /3. Nel destino dell’Etiopia c’è la Somalia, dentro e fuori i propri confini /4. Il mosaico etnico dell’Etiopia: chi ci vive e chi lascia il paese

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