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    In Italia record di morti. Secondo uno studio di Oxford è colpa della famiglia

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 19 Mar. 2020 alle 10:00

    Il bollettino sul Coronavirus reso noto dal commissario per l’emergenza Angelo Borrelli in conferenza stampa alla Protezione civile del 18 marzo è stato tra i più duri: 475 morti in un solo giorno. Numeri che ancora una volta ci mettono di fronte all’ardua domanda: perché l’Italia paga un prezzo così alto in termini di vite umane?

    Qualche giorno fa è stato pubblicato uno studio preliminare realizzato da Jennifer Beam Dowd, epidemiologa e demografa dell’Università di Oxford, insieme a un gruppo di colleghi che prende in esame il caso italiano, per capire come un’alta percentuale di anziani sulla popolazione possa influire sul tasso di letalità. Lo studio è stato pubblicato in anteprima, in attesa di una verifica alla pari e della sua successiva pubblicazione su una rivista scientifica.

    Lo studio di Dowd e colleghi conferma che la COVID-19 pone un rischio molto alto per i più anziani, soprattutto nelle fasce tra 70-79 e 80-89 anni. In Italia quasi un quarto della popolazione ha più di 65 anni, e questo aumenta il rischio di un duro impatto della malattia sul nostro paese.

    Ma non solo, secondo i ricercatori, sull’alto tasso di mortalità potrebbe aver influito il nostro senso della famiglia.

    “L’Italia è un paese caratterizzato da ampi contatti intergenerazionali che sono supportati da un elevato grado di vicinanza residenziale tra figli adulti e i loro genitori”, si legge sullo studio. “Anche quando le famiglie intergenerazionali non vivono insieme, sono frequenti i contatti quotidiani tra coppie genitori-figlio non residenti. Molti italiani spesso preferiscono vivere vicino alla famiglia allargata e andare al lavoro tutti i giorni. Secondo gli ultimi dati disponibili dell’Istituto nazionale di statistica italiano, questo vasto pendolarismo colpisce oltre la metà della popolazione nelle regioni settentrionali. Queste interazioni intergenerazionali, la co-residenza e i modelli di pendolarismo potrebbero aver accelerato l’epidemia in Italia con un aumentato della vicinanza degli anziani ai casi infetti iniziali. La struttura per età, insieme alla diagnosi precoce e al trattamento, spiega probabilmente anche il basso numero di vittime in Corea del Sud e Singapore rispetto all’Italia. L’epidemia coreana, sebbene grande, si è concentrata tra le giovani reclute del gruppo religioso Schincheonji, con solo il 3,3% dei casi che rientra nel gruppo molto vulnerabile > 80”.

    Quindi, il fatto che i giovani vivono con i genitori fino a un’età avanzata, e che i nonni e i parenti più anziani di solito vivono nelle vicinanze; e che ci tocchiamo, ci abbracciamo, ci baciamo sulle guance per salutarci, ha dato una spinta alla diffusione dell’epidemia presso le fasce più anziane e vulnerabili. Ci vorrà molto tempo per individuare con precisione le cause che hanno fatto sì che il nostro Paese venisse colpito in questo modo. Le tante situazioni di emergenza e la sofferenza che sta colpendo città come Bergamo e altre del nord Italia non permettono facili conclusioni. Questo è il momento del cordoglio e dell’unità, per andare avanti nella lotta contro il Coronavirus.

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