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“Il mio medico e le suore mi hanno fatto credere che mia figlia fosse nata morta”, la storia di una delle madri dei bambini rubati in Spagna

Immagine di copertina
Marìa Bueno da piccola in braccio alla madre.

Dall'inizio del regime franchista fino agli anni Novanta, si stima che in Spagna siano stati "rubati" e venduti con la complicità di medici e religiosi circa 300mila bambini. María Bueno ha raccontato a TPI la sua storia

È la fine del 1981. Dopo nove mesi di una gravidanza serena, María Bueno inizia ad avere delle piccole contrazioni e si reca dal ginecologo privato che l’ha seguita da quando è rimasta incinta.

Vive a La Línea de la Concepción, una città da circa 60mila abitanti che si trova al confine con Gibilterra, nella comunità autonoma dell’Andalusia.

Dopo un controllo, il medico le dice che la sua bambina è morta e che lei è in pericolo di vita perché il feto può causarle un’infezione mortale.

“Ero così scioccata da quella strana notizia che potevo solo piangere”, racconta María, in un testo inviato a TPI.it. “Non riuscivo a dire nulla perché ero consapevole che la mia gravidanza era andata bene in ogni momento”.

Stranamente, anche se María Bueno è “in pericolo di vita”, non viene ricoverata fino alla mattina successiva. Non nella Residencia de la Seguridad Social, ma nell’ospedale municipale, gestito dalle Suore della Carità, una congregazione religiosa.

L’ospedale svolge attività di beneficenza ma anche un servizio privato. María viene ricoverata in una stanza privata, solo per lei, il cui costo non le verrà mai addebitato.

È il 24 dicembre e, dopo che gli infermieri e i medici hanno tentato di rompere le acque e indurle il parto per tutto il giorno, María viene portata in sala parto alle sette del pomeriggio. Non ricorda nulla di quei momenti, perché viene sedata.

Non si risveglia fino al mattino successivo. Anche se era stata sedata prima del parto, i medici non hanno eseguito un taglio cesareo.

María non ha mai visto la sua bambina. Né lo hanno fatto i suoi parenti, preoccupati più dello stato di salute della donna che della piccola, che il dottore aveva già dato per morta.

Solo anni dopo María ha messo insieme gli indizi e ha capito che qualcosa non quadrava.

I bambini rubati in Spagna

Dall’inizio del regime franchista, nel 1939, fino agli anni Novanta, si stima che in Spagna siano stati “rubati” e venduti con la complicità di medici e religiosi, preti e suore, circa 300mila bambini.

A far emergere lo scandalo dei bambini rubati in Spagna è stata un’inchiesta della Bbc pubblicata nel 2011 a partire dalle dichiarazioni di un padre che in punto di morte confessò al figlio, Jean Luis Moreno, di averlo comprato da un sacerdote a Saragozza nel 1969, per 150mila pesetas (poco meno di 50mila euro).

Anche nel caso di María il medico e le suore sembrano aver avuto un ruolo.

Il giorno del parto, fu il medico a dire alla sorella di María che l’ospedale si sarebbe occupato di tutto.

Lei insisté per vedere sua nipote, e così alla fine le mostrano una bambina morta avvolta in un lenzuolo, che lei ricorda “carina e con la faccia tonda”: una descrizione che non corrisponde ad un bambino morto nel pancia materna.

In teoria, la piccola è stata sepolta nel cimitero di La Línea de la Concepción il giorno dopo.

La mattina di Natale, mentre María si sta riprendendo nella sua stanza, una suora infermiera entra nella stanza chiedendo se il neonato le sia stato portato per allattarlo al seno.

“Ma che bambino? Se la mia bambina è nata morta”, le risponde María.

In quel momento lei non reagisce, ma quel dialogo è una delle stranezze che circonda il suo parto.

“Bacia Gesù bambino, ti consolerà”, le dice la suora porgendole il bambin Gesù di porcellana che ha tra le mani.

Inizia la ricerca

Anni dopo quel terribile episodio, e dopo aver sentito la notizia di numerosi casi di “bambini rubati” nella sua città – molti dei quali con lo stesso ginecologo – María scopre che non solo non esiste nessun documento che abbia registrato la sepoltura della sua bambina, ma non esiste neanche alcuna registrazione negli archivi ospedalieri del suo ricovero il giorno del parto, o della nascita della piccola nel registro dell’ospedale.

Nel certificato dell’anagrafe, che María ha ottenuto dopo aver lottato e atteso quattro mesi, ci sono dati falsi relativi alla data del parto. Si indica inoltre che lei partorì un feto di sette mesi, quando in realtà era al nono mese di gravidanza.

Come lei, sono migliaia le persone che oggi in Spagna cercano figli, fratelli, sorelle o genitori biologici. A sostenerli sono nate varie associazioni, diffuse a livello territoriale.

“Sto cercando mia sorella”, racconta a TPI.it Luna, presidente dell’associazione Save Our Souls Bebes Robados Comunitat Valenciana. “Era nata nel 1972 e anche se una suora aveva detto ai miei genitori che era morta, abbiamo saputo che in ospedale è registrata come viva”.

Non c’era un criterio specifico con cui i trafficanti di bambini sceglievano le loro vittime. Durante il regime di Franco, inizialmente, furono presi di mira gli oppositori politici. Poi il fenomeno proseguì per scopo di lucro.

A essere prese di mira, però, erano spesso famiglie povere. Per via della scarsa cultura, della mancanza di consapevolezza dei propri diritti e della mancanza di risorse per sostenere una causa legale, avevano il profilo ideale.

I bambini venivano quindi dati in adozione a famiglie più abbienti.

Allo scandalo dei bambini rubati in Spagna è ispirato anche il romanzo Entra nella mia vita della famosca scrittrice spagnola Clara Sanchez.

I tribunali

Dopo aver denunciato l’accaduto alla procura, il caso di María finisce in tribunale nel 2010, in una causa congiunta insieme ad altri casi simili al suo. Oggi María non sa nulla sul risultato delle indagini.

“Ho due figli, un nipote e il grande sostegno di mio marito, che è la forza che mi sostiene per continuare a combattere e che dedica ore e ore a fare tutto ciò che, per il mio grado di cecità, non posso fare o vedere”, dice María,che ha un’elevata disabilità biologica a causa di una malattia rara.

Da quando ha scoperto che sua figlia – o figlio, dal momento che nessuno può esserne sicuro – non è mai arrivata al cimitero e che la nascita non è mai stata registrata, si è fermata per un solo giorno nella sua ricerca.

Ha creato l’ALUMBRA, l’Associazione per la lotta delle madri dei bambini rubati in Andalusia, è stata fondatrice e presidente della Federazione nazionale delle vittime per i bambini rubati in Spagna COORDINADORA X-24.

A luglio 2017 ha fondato la Plataforma Foro Internacional de Víctimas por Desapariciones Forzadas Infantiles “Te Estamos Buscando” (“Ti stiamo cercando”) con sede nel Regno Unito e sedi distaccate nei Paesi Baschi, in Navarra, Catalogna, a Valencia, a Madrid e in Andalusia.

Secondo María, come per molti giuristi, il furto di neonati è un crimine contro l’umanità, imprescrittibile, dal momento che si tratta di sparizioni forzate di persone che oggi sono adulte che vivono con una falsa identità.

“Lotto per conoscere la verità sui nostri figli e figlie scomparsi, mi impegno per recuperare parte della storia della mia vita e restituire alla vita il ricordo di mia figlia”, dice.

Anche se non la conosce, a sua figlia ha dato un nome, il suo. Si chiama María, e lei non smette di cercarla.

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