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Home » Esteri

Le bambine egiziane vittime della crudele pratica delle mutilazioni genitali per mano delle loro stesse famiglie

Immagine di copertina

Sara Ahmed​ ha raccolto per TPI​ le testimonianze di chi ha subito l'infibulazione genitale femminile, a cui sono sottoposte oltre 100 milioni di bambine nel mondo

Avevo più o meno 10 anni e mi trovavo insieme ad altre bambine a giocare in uno dei piccoli vicoli del quartiere egiziano dove trascorrevo le vacanze estive.

S&D

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Chiesi di Amal, una bambina che quel giorno non era scesa a giocare con noi.

“Perché Amal oggi non c’è?”

Mi rispose prontamente la sorella minore.

“Amal oggi non può perché tahruha”

“Amal, tahruha perché noi ragazze abbiamo un pezzo di troppo tra le gambe che se lasciato lì cresce e ci fa male”. Mi rispose un’altra bambina.

“Ma cosa dici? Amal è stata purificata, come tutte noi, altrimenti poi comincia a fare cose che noi donne non possiamo fare prima del matrimonio”, disse un’altra del gruppo.

Tahruha, in dialetto arabo-egiziano, significa “l’hanno purificata” ed è il termine usato nel gergo comune per dire che una bambina è stata infibulata. Perché l’infibulazione viene vista, da chi la mette in pratica, come qualcosa che purifica il corpo della donna, che tiene a bada la sua shahwa, la libidine sessuale.

Non so quante Amal egiziane io abbia incontrato nella mia vita. Forse è più facile quantificare il numero di ragazze egiziane che ho incrociato e a cui non è toccata la stessa sorte di Amal.

Un giorno parlai con Hanane, mi raccontò che fu la nonna a prendere in mano una lametta, senza alcun diritto, per privarla di una parte del suo corpo. Mi disse che per lei fare sesso è quasi una tortura. 

Poi un giorno parlai con una mia parente, Samira, che mi chiese perché quello che è successo a lei non è accaduto anche a me. Rimasi in silenzio, ma dentro di me, mi ricordai di quando chiedevo in modo insistente ai miei genitori il motivo per il quale dovessi rimanere “sporca” e non purificata come le altre bambine delle mia famiglia. 

Poi Samira continuò dicendomi: “Io non volevo, sono corsa fuori di casa per non farmi fare niente. Altre bambine mi avevano detto che faceva un male atroce. Poi mamma mi ha detto di non preoccuparmi perché lo faceva per il mio bene, per preservare il mio onore. Ho passato giorni senza riuscire a muovermi. Lì sotto mi bruciava tutto”.

Sempre tra me e me, ringraziai i miei genitori per non aver seguito una tradizione così brutale.

La mia stessa fortuna però non toccò a Laila. Sua mamma la portò dall’Italia in Egitto da un “bravo dottore”, come disse ai miei. Non provai mai a toccare questo discorso con Laila e forse mai lo toccherò.

Molte Amal si rendono conto di ciò che hanno subito solo quando iniziano a prendere consapevolezza del proprio corpo. Oppure il giorno delle loro nozze, quando si ritrovano immerse nel dolore e non nel piacere, come si aspettavano. Altre ancora quando incontrano ragazze che non hanno subito mutilazioni sessuali.

Ci sono differenti mutilazioni: la circoncisione, che consiste nell’esportazione parziale o totale della clitoride. L’escissione, ovvero l’asportazione, oltre che della clitoride, di parte o di tutte le piccole labbra.

L’infibulazione, la forma più feroce, chiamata anche circoncisione faraonica, consiste nell’asportazione della clitoride, delle piccole labbra e di parte o di tutte le grandi labbra vaginali.

L’infibulazione non trova fondamento in nessuna religione, come scrisse Nawal El Saadawi, icona femminista contro le mutilazioni genitali: “Nessuna sfuggiva a questo destino, né la bambina che credeva in Gesù, né quella che credeva in Allah”.

Le mutilazioni genitali femminili, in tutte le loro forme, sono retaggi culturali. L’infibulazione è il simbolo del dominio maschile sul corpo delle donne. 

Ho i brividi ogni volta che penso a tutte le donne egiziane che hanno subito tale tortura. Le mutilazioni sono illegali in Egitto dal 2008 ma ancora molte famiglie, soprattutto nei villaggi rurali, continuano a praticare l’infibulazione (in questo link un grafico con i paesi in cui è ancora attiva questa pratica).

Mi auguro che un giorno l’Egitto possa debellare, completamente, questa ingiustizia di cui sono vittime così tante donne, in primis quelle madri colme di ignoranza e retaggi culturali maschili, che costringono le figlie a farsi circoncidere, convinte di purificarle.

I nomi delle ragazze protagoniste di queste storie sono stati cambiati per tutelare la loro privacy

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