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In Argentina la battaglia per l’aborto libero e sicuro non si è mai fermata

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Credit: Ansa/ Nicolas Villalobos/dpa

In Argentina la battaglia per l’aborto libero e sicuro non si è mai fermata

Violentata dal compagno della nonna, è rimasta incinta a undici anni. Voleva abortire: era un suo diritto, le è stato negato ed è stata costretta a un parto cesareo. Inutili le sue richieste. Inutili le proteste delle associazioni per i diritti delle donne. È successo in Argentina, dove la legge permette l’interruzione volontaria di gravidanza solo nel caso di uno stupro o se la salute della madre è a rischio. Ma dove, spesso, nemmeno le deroghe previste sono garantite.

La bambina era stata sottratta alla famiglia d’origine perché il patrigno si approfittava delle sorelle più grandi e le violentava quando tornava a casa ubriaco. Lo scorso 28 gennaio, portata all’ospedale Eva Peron, aveva raccontato ai medici che le “faceva male lo stomaco”. Non si era nemmeno accorta di essere arrivata alla diciannovesima settimana. Ha spiegato di essere stata stuprata dal compagno della nonna e ha chiesto che venisse applicato l’articolo della legge che permette di effettuare una Ivg nel caso di una minorenne violentata. 

Le organizzazioni femministe hanno denunciato voluti ritardi nell’adozione del provvedimento che avrebbe dovuto consentire l’aborto. I funzionari assicuravano che la bambina desiderava portare a termine la gravidanza, mentre i medici si erano dichiarati obiettori. La gestazione è arrivata a ventitré settimane, troppe per la legge. È stato un giudice a prendere in mano la situazione, quando la piccola rischiava di morire. E un medico ha praticato un parto cesareo. È nato un bambino di 600 grammi, messo in un’incubatrice con poche possibilità di sopravvivere.

Il caso ha scosso l’Argentina, dove il movimento femminista Ni Una Menos porta avanti da anni una campagna nazionale per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito. Lo scorso agosto, il Senato aveva bocciato la legge sulla legalizzazione dell’Ivg. Il Presidente della Repubblica, Mauricio Macri, si era detto sin dall’inizio contrario alla proposta ma, al contempo, aveva promesso di non avere nulla da obiettare nel firmare una legge approvata legalmente dalla rappresentanza parlamentare del paese. Il 28 maggio 2019, il ddl per rendere l’aborto legale è stato discusso per l’ottava volta al Congresso di Buenos Aires.

“In Argentina la battaglia per l’aborto sicuro e legale non si è mai fermata”, dichiara a TPI Irupé Tentorio, giornalista e attivista di Ni Una Menos. “Si registrano ogni giorno aborti clandestini in tutto il paese. È molto difficile trovare la pillola abortiva. E anche nel caso in cui si trovi, è molto costosa”. 

Nel paese la principale causa di morte per le donne incinta è l’aborto illegale. E molte, soprattutto le più povere, non possono ricorrere a un medico privato per i costi troppo elevati dell’operazione. “I Network Rescuer ricoprono un ruolo significativo nell’aiutare le donne che aspettano un bambino. Si sono estesi in tutta l’Argentina, anche se non funzionano ancora bene nelle regioni settentrionali”.

Secondo un rapporto di Human Rights Watch, nel paese la situazione è aggravata dall’assenza delle politiche per un’educazione sessuale. Nella scuola secondaria non è fatta rispettare la norma che impone che nei piani di studio sia inclusa l’educazione sessuale comprensiva. Secondo una legge del 2006, tutti gli studenti hanno diritto a vivere un’educazione sessuale completa nelle scuole private e pubbliche.

Donne e uomini portano ancora il fazzoletto verde appeso nelle loro borse”, spiega Tentorio. Il pañuelo, diventato il simbolo del movimento, che ha preso il posto del pezzo di stoffa bianco indossati dalle madri di Plaza de Majo. “È una lotta quotidiana, dai grandi gesti della società a quelli più piccoli”.

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