Paolo Fresu a TPI: “La Musica non ha confini”
Al Teatro Comunale di Bologna il celebre trombettista dirige una rassegna che unisce il jazz e la classica. “Vogliamo dare un segno di apertura e curiosità. Il pubblico ascolta sonorità nuove e apprezza”
Al Teatro Comunale di Bologna è in corso un esperimento musicale inedito per il panorama italiano: coniugare il jazz con la musica classica, due stili apparentemente distanti fra loro ma che, messi insieme, possono dar vita sul palco a una magia unica. Il progetto – dal titolo “Jazz on Symphony” – è firmato da uno dei più apprezzati musicisti jazz della scena mondiale, il trombettista Paolo Fresu, e vede il coinvolgimento dell’Orchestra della fondazione lirico-sinfonica felsinea.
Il primo appuntamento, lo scorso 22 e 23 marzo, ha registrato un assoluto successo di pubblico: il bolognese Celso Valli, compositore, arrangiatore e produttore discografico fra i più noti in Italia, ha curato le trascrizioni originali delle musiche dello spettacolo intitolato “The Man I Love”, serata dedicata a grandi temi d’amore nella storia della musica. Sul palco dell’Auditorium Manzoni si sono alternate tre fra le voci più suadenti della musica del nostro Paese: Ornella Vanoni, Malika Ayane e Simona Molinari, accompagnate dal pianista Dado Moroni, dal contrabbassista Ares Tavolazzi e dal batterista Stefano Bagnoli.
Il secondo appuntamento è in cartellone il 10 e 11 ottobre: lo spettacolo “Jazz on film” sarà un tributo al jazz nella storia del cinema curato e diretto dallo statunitense Vince Mendoza, compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra vincitore di sette Grammy Award, che vanta collaborazioni con Joni Mitchell, Pat Metheny, Herbie Hancock, Sting e Björk. Solisti della serata saranno due interpreti di riferimento del panorama jazzistico: il sassofonista statunitense vincitore di un Grammy Award Joe Lovano e il trombettista Flavio Boltro, che ha suonato anche con Michel Petrucciani. Nel progetto è coinvolto anche il Dipartimento Jazz del Conservatorio “G.B.Martini” di Bologna. TPI ne ha parlato con il direttore artistico della rassegna, Paolo Fresu.
Fresu, cos’hanno in comune il mondo del jazz e quello della musica classica?
«Molti dei grandi progetti di jazz hanno visto il coinvolgimento di orchestre sinfoniche. Sono abbastanza convinto che se chiedessimo a un qualsiasi musicista di jazz qual è il suo sogno, la maggior parte risponderebbe: fare un progetto con un’orchestra sinfonica. Perché è una cosa esaltante, perché c’è una ricchezza di sonorità straordinaria. E perché, appunto, storicamente molti dischi importantissimi, che spesso hanno rappresentato l’apice della carriera di alcuni grandi solisti, sono stati realizzati sulla base di progetti con gli archi o con delle orchestre sinfoniche. La musica classica e il jazz si stanno avvicinando sempre di più: sono mondi paralleli che si intersecano, che si toccano tangenzialmente, c’è una sorta di osmosi, di travaso, anche proprio a livello di competenze tra musicisti. Nel caso di “Jazz on Symphony” credo che la bellezza stia nel riempire una sorta di vuoto: alle volte si tende a dividere stili e sensibilità, mentre con questa rassegna vogliamo unire musicisti di generi diversi dando un segno di apertura e di curiosità che non può far altro che far bene alla musica».
Come è nata l’idea?
«L’idea è nata da una specifica richiesta del sindaco Matteo Lepore (che è anche presidente della Fondazione Teatro Comunale di Bologna, ndr). Io l’ho colta al volo perché credo sia un bene che la programmazione del Comunale si apra sempre di più. Mettere insieme generi apparentemente diversi trovo sia coraggioso, giusto, interessante, perché così si arricchisce la proposta e si creano delle connessioni. Penso per esempio al fatto che nel progetto di Mendoza coinvolgeremo una parte degli studenti del Conservatorio Martini».
Dal punto di vista tecnico, quali possono essere le mag giori difficoltà nel coniugare classica e jazz?
«Possono esserci difficoltà gestionali e difficoltà legate all’idioma. Gestionali perché ovviamente un’orchestra sinfonica è sempre molto impegnata con le opere e con il progetto sinfonico e quindi bisogna trovare nel calendario gli incastri giusti per sviluppare altri progetti. D’altra parte, nel nostro caso anche Vince Mendoza è sempre molto impegnato – essendo uno dei più importanti compositori al mondo, è tirato per la giacchetta da più parti – e quindi abbiamo dovuto regolarci anche in base alle date in cui era disponibile lui… Alla fine ce l’abbiamo fatta e siamo molto soddisfatti».
Cosa intende per difficoltà legate all’idioma?
«Fare in modo che i musicisti classici e quelli di jazz, che hanno alle spalle una preparazione diversa, arrivino a parlare la stessa lingua. Bisogna fare un lavoro di approfondimento, anche di ricerca di bellezza del suono. A ben vedere, nel progetto di Celso Valli non c’erano accenti prettamente jazzistici: non veniva richiesto all’orchestra di uscire totalmente dal proprio mondo. Il progetto di Mendoza, invece, ha più a che fare con il jazz dal punto di vista del ritmo, quindi l’orchestra, in particolar modo la parte dei brass (gli ottoni, ndr), dovrà piegare minimamente la sua essenza. Vedo comunque che l’orchestra sta apprezzando molto la novità».
A marzo le due serate di “The Man I love” sono state un successo. Ve lo aspettavate?
«È andata anche al di sopra delle nostre aspettative. C’è stata una risposta di pubblico davvero clamorosa, l’orchestra ha lavorato molto bene e si è creata una bella sinergia. Siamo molto contenti. Nei giorni successivi agli spettacoli, ho avuto di modo di incontrare diverse persone – anche casualmente, per strada – che non avevano mai ascoltato musica jazz ed erano letteralmente entusiaste. Adesso non vediamo l’ora di portare avanti il progetto di Mendoza: sono certo che anche quello andrà molto bene».
“Jazz on film” sarà un tributo al jazz nella storia del cinema. Perché questa scelta?
«Me lo ha proposto lo stesso Mendoza. Si tratta di un progetto che lui ha realizzato per la prima volta lo scorso anno a Göteborg, in Svezia, con la Gothenburg Symphony. L’idea mi ha subito completamente convinto. Anche per la presenza di due grandissimi solisti come Joe Lovano e Flavio Boltro. Storicamente sia il mondo del jazz sia quello della musica sinfonica sono molto legati alla musica dei film: il cinema è proprio uno dei luoghi in cui questi due mondi si sono spesso incontrati».
Ci può anticipare qualcosa sui brani che saranno eseguiti?
«Possiamo dire che ci sarà qualcosa di Miles Davis tratto dal film “Ascensore per il patibolo”. Ci saranno brani di Duke Ellington tratti da “Anatomia di un omicidio”. Ci saranno le musiche di Sonny Rollins per “Alfie”, qualcosa dalla colonna sonora de “Il grande Gatsby” firmata da Nelson Riddle…».
L’obiettivo è anche coinvolgere un pubblico diverso…
«Certo. Alla base c’è anche una riflessione di natura culturale sul valore aggiunto che un progetto del genere può portare. Generalmente il jazz viene suonato nei club di jazz e nei festival di jazz e questi concerti sono seguiti in prevalenza da persone che sono già appassionate di jazz. Ecco, “Jazz on Symphony” secondo me può avvicinare a questo genere tante persone che magari non lo conoscono, e viceversa può avvicinare alla musica classica anche chi non l’ha mai ascoltata. Così si aprono le menti, si stimola la curiosità. Partendo dal centro, ci si allarga sempre di più e si vanno a toccare mondi molto diversi tra di loro. E questo accade con il grimaldello del jazz, da una parte, e di un’orchestra classica sinfonica, dall’altra».