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    Vaccino anti-Covid: cosa sappiamo dello stop ai test di AstraZeneca e cosa succede adesso

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 10 Set. 2020 alle 08:37 Aggiornato il 10 Set. 2020 alle 09:44

    Vaccino anti-Covid: cosa sappiamo dello stop ai test di AstraZeneca e cosa succede adesso

    Dopo lo stop ai test sul vaccino di Oxford dell’anglo-svedese AstraZeneca, la corsa al rimedio anti-Covid rallenta inevitabilmente. Ma cosa succede adesso? Nei giorni scorsi si parlava di novembre come possibile orizzonte temporale per la messa a punto del vaccino, considerato il più avanzato al mondo e giunto allo stadio finale di sperimentazione, ma ora questa agenda subirà dei ritardi, tanto maggiori quanto più lunghi saranno i tempi per determinare le cause dell’evento avverso, e confermare una correlazione di causa-effetto tra l’inoculazione del vaccino e il disturbo apparso nel volontario. Una paziente, una degli oltre 30mila su cui era in sperimentazione il vaccino virale, ha manifestato un problema neurologico chiamato mielite trasversa, un’infiammazione del midollo spinale.

    La volontaria dovrebbe essere stata già dimessa, ma intanto l’attesa per riprendere i test sul vaccino di Oxford potrà andare dalle poche settimane fino ai 6-8 mesi. Per il quotidiano britannico Financial Times ci vorranno solo sette giorni. Ma lo stop rischia di mettere a repentaglio la fiducia dei pazienti nel vaccino contro il Coronavirus, anche qualora l’anglo-svedese dovesse superare l’intoppo brillantemente, nonostante le rassicurazioni giunte dalla comunità scientifica. Per gli esperti gli studi su efficacia e sicurezza sono fondamentali e non faranno altro che garantire la qualità del risultato finale.

    Vaccino anti-Covid: le altre aziende in corsa

    AstraZeneca non era l’unica azienda impegnata nella realizzazione di un vaccino: molti Paesi partecipano alla corsa e sono decine quelli a cui si lavora. Secondo l’ultimo censimenti di Nature, esistono al momento 321 candidati vaccini: 91 in fase di studi preclinici su animali, 37 in sperimentazione sull’uomo (incluso l’italiano di ReiThera) e 9 nella fase finale 3 – di inoculazione a migliaia di volontari, come per quello di Oxford – e in quella successiva di approvazione per un uso limitato. Tra le principali aziende c’è la biotech americana Moderna e il gruppo Pfizer-Biontech, con cui la Commissione Europea ha concluso il suo sesto pre accordo commerciale per 300 milioni di dosi, dopo quelli con AstraZeneca (con 300 milioni di dosi prenotate), con la statunitense Johnson&Johnson – pronta a partire con 60mila volontari – CureVac e la stessa Moderna, per cui Trump aveva assicurato la messa a punto entro ottobre, poco prima delle Elezioni presidenziali.

    In tutto l’Europa ha prenotato 1,5 miliardi di dosi. “L’Italia continuerà a investire in prima linea nella ricerca per il vaccino anti-Covid”, ha dichiarato il ministro della Salute Roberto Speranza, che prima dello stop ai test sul vaccino di Oxford aveva annunciato di aver assicurato all’Italia 2-3 milioni di dosi, da destinare in un primo tempo a operatori sanitari e anziani con patologie. Nel nostro Paese è la ReiThera di Castel Romano a partecipare alla corsa per il vaccino, ma con tempi più dilatati. Come spiegato dal direttore scientifico dell’Inmi “Lazzaro Spallanzani” di Roma, Giuseppe Ippolito, per il vaccino italiano bisognerà attendere l’inizio della prossima primavera, quando saranno disponibili tutti i dati “e poi decideranno le autorità sanitarie su come procedere”.

    Vaccino anti-Covid: cosa succede adesso

    Se i tempi di AstraZeneca, che aveva messo a punto una capacità produttiva di 3 miliardi di dosi in tutto il mondo, si riveleranno molto più lunghi del previsto, la corsa al vaccino non potrà dirsi conclusa prima della fine del 2020. Solo nel momento in cui si avranno risultati preliminari su un numero sufficiente di individui potrà cominciare la distribuzione alle prime fasce di popolazione. Operatori sanitari in testa, seguiti dagli anziani con patologie o dal gruppo dei giovani adulti, come propongono alcuni scienziati statunitensi perché ritenuto il più grande diffusore del contagio. Intanto, considerato il lungo orizzonte temporale, diversi scienziati chiedono di studiare anche altre forme di contenimento dell’epidemia, oltre all’eventuale futuro vaccino. Di certo, dopo l’intoppo di AstraZeneca, tutti i gruppi di ricerca concentreranno i propri sforzi nella verifica di eventuali effetti neurologici nei volontari.

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