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    Il capitano e la capitana: chi ha perso e chi ha vinto nella farsa del caso Sea Watch

    Illustrazione di Manolo Fucecchi.
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 29 Giu. 2019 alle 11:15 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:32

    Sea Watch Salvini Carola Rackete – Nella lotta tra i due capitani, quello che non è capitano è Matteo Salvini, e quella che è capitano davvero è Carola Rackete.

    Nella lotta tra il capitano tarocco e il capitano vero, il capitano vero è finito sulla soglia del carcere. Carola Rackete è accusata di “resistenza ad una nave da guerra”, un reato di sapore ottocentesco così polveroso è desueto che prevede una pena fino a dieci anni [cosa rischia la capitana della Sea Watch].

    Ma, in un mondo ribaltato dove le contro-narrazioni diventano una sorta di fumetto manga, la capitana che salva i migranti è diventata una specie di feroce pirata, una capitan Harlock da sottoporre a serissime misure cautelari [il video dell’arresto].

    Matteo Salvini ha perso la battaglia, perché ha subito il risultato che meno voleva, lo sbarco dei migranti. Ma aveva la possibilità di vincere la sua guerra, con il sequestro della nave, che avrebbe sottratto alle missioni di soccorso, dopo Mediterranea, un altro prezioso mezzo di salvataggio.

    E fino a ieri Carola Rackete [chi è] aveva vinto una battaglia, ma rischiava di perdere una guerra, perché l’inchiesta e il sequestro della nave, per Sea Watch, sono davvero il danno più grave.

     

     

    Sea Watch Salvini Carola Rackete –  Tuttavia si può vincere una guerra, ma perderne un’altra, più importante. E l’idea di martirizzare Carola Rackete, e processarla come se fosse una criminale, può far perdere al Governo la guerra più importante, quella mediatica, per giunta su scala globale.

    Puoi convincere la maggioranza di un paese incattivito, e (giustamente) arrabbiato con l’Europa per la sua politica di lavarsi le mani sul problema degli sbarchi, puoi far leva su questo sentimento legittimo per costruire una narrazione illegittima. Ma non puoi pretendere di convincere il mondo che se dichiari che Carola Rackete è una Mengele, per questo stesso fatto qualcuno ci possa davvero credere.

    Nella battaglia della Sea Watch, che è solo un atto della guerra tra i due capitani, il troppo storpia. E ieri questa frontiera fra la narrazione fantastica e la farsa è stata ampiamente attraversata. Perché quando ti affacci sul palcoscenico del mondo e metti sotto processo una ragazza di trent’anni come se fosse una criminale di guerra i casi sono due: o riesci davvero a condannarla e diventi un mostro, o non ci riesci e diventi un buffone.

    Se l’Europa apre gli occhi sui migranti grazie a Salvini (di G. Gambino)

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