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    Sanremo, le scarpe rosse di Loredana Bertè non bastano più

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 3 Mar. 2021 alle 11:55

    L’esibizione della super ospite Loredana Bertè nella prima serata del Festival di Sanremo (qui un riassunto di cosa è successo nella prima serata) non è passata inosservata: l’artista ha portato sul palco del Teatro Ariston la denuncia contro la violenza sulle donne: un paio di scarpe rosse, simbolo della lotta contro i femminicidi, e l’appello: “Al primo schiaffo bisogna denunciare”. Per quanto sempre necessarie, le azioni dimostrative non bastano più, i numeri parlano chiaro e bisogna intervenire: solo nei primi mesi del 2021, una donna è stata uccisa ogni cinque giorni. Bisogna analizzare gli strumenti a oggi disponibili e capire su cosa intervenire, cosa cambiare, perché di questa strage non resti solo un paio di scarpe rosse.

    Al 22 febbraio, erano già 12 omicidi in cinquantatré giorni: un triste record. Ma i numeri sono già saliti da allora. In Italia si continua a raccontare e scrivere di ragazze e donne assassinate per mano di uomini. Donne che avevano denunciato e che comunque lo Stato non è riuscito a proteggere. Agghiacciante il caso di Clara Ceccarelli. La commerciante uccisa a febbraio nel suo negozio di pantofole in pieno centro a Genova dal suo ex compagno, aveva avuto un presagio di quanto le sarebbe capitato. E due settimane prima, secondo quanto raccontato dal commesso che ogni tanto la aiutava, la donna si era pagata il funerale per evitare di pesare sull’anziano padre e sul figlio disabile.

    Fonte: femminicidioitalia.info

    Se l’introduzione del codice rosso ha migliorato le cose da un punto di vista di rapidità delle procedure, resta il fatto che la violenza nei confronti delle donne non è problema che si risolve mettendo tutti in carcere. La soluzione non è nemmeno solo nelle aule di giustizia, è questione culturale e di competenza generale, del magistrato come della polizia. La velocizzazione della procedura e la tutela concreta delle donne sono due cose diverse.

    Qualche dato

    Nel rapporto “Un anno di codice rosso”, consultabile al sito giurisprudenzapenale.com, sono evidenziati i dati relativi alle nuove fattispecie di reato introdotte dal Codice Rosso nel periodo 01.08.2019-31.07.2020. Nel periodo considerato è stata effettuata una rilevazione statistica sul territorio nazionale mediante estrazioni con l’applicativo SIRIS presso tutti i Tribunali ordinari. L’indagine svolta ha consentito di conoscere il numero dei procedimenti riguardanti i reati in questione, iscritti e definiti, indipendentemente dal numero di imputati/indagati a cui è stato il reato.

    Nel periodo indicato, per le nuove fattispecie, risultano essere stati iscritti i seguenti procedimenti penali: 2.735 per il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis c.p.); 32 per il reato di costrizione o induzione al matrimonio (558-bis c.p.); 82 per deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art.583-quinquies c.p.); 1083 per il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art.612-ter c.p.). Risulta inoltre essere stata esercitata l’azione penale nei seguenti casi: 527 procedimenti penali iscritti per il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; 3 procedimenti penali iscritti per il reato di costrizione o induzione al matrimonio; 35 procedimenti penali iscritti per il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; 121 procedimenti penali iscritti per il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.

    Quanto ai procedimenti penali definiti in fase di udienza preliminare, si registrano in particolare: per il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa: 30 condanne, 21 patteggiamenti, 1 proscioglimento, 2 decreti penali di condanna; per il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso: 2 condanne, 1 assoluzione; per il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti: 2 condanne, 3 patteggiamenti, 1 proscioglimento; per il reato di costrizione o induzione al matrimonio, invece, al 31 luglio u.s. non risultavano procedimenti penali conclusi con sentenza di fronte alla sezione gip/gup.

    Dai flussi procedimentali appena descritti emerge, in tutta evidenza, che le nuove fattispecie introdotte dalla legge n.69/2019 rispondono ad una reale esigenza sociale se si considera l’elevato numero di procedimenti iscritti rilevati. In particolare, il dato corposo delle iscrizioni e quello dei procedimenti già approdati alla condanna in primo grado, consentono di rilevare l’utilità concreta dell’approccio procedimentale basato sulla corsia preferenziale dell’ascolto e della introduzione dei nuovi reati perché capaci di descrivere tecnicamente e punire comportamenti diffusi e connotati da particolare disvalore. Il dato complessivo delle richieste di rinvio a giudizio riguardanti i nuovi reati appare, infatti, significativo dell’opportunità dell’intervento normativo del Codice Rosso, in mancanza del quale le gravi condotte ivi tipizzate non avrebbero avuto risposta adeguata.

    Ma questo non basta.

    Perché non basta il Codice Rosso

    L’accumulo di casi non porterà alla rapidità nella procedura. Anche questo era già stato notato dalle associazioni quando il Codice Rosso è stato varato senza stanziamenti di fondi, senza poter incrementare il personale o fare corsi specifici di formazione.

    “Se il codice rosso si esaurisce solo nella velocità delle procedure non va bene. Manca un anello fondamentale: una presa in carico diretta da parte dello Stato. Molte donne uccise avevano denunciato il proprio aguzzino ma non è servito. Questo accade perché magari il tipo di misure predisposta dai giudici non sono sufficienti, come il semplice divieto di avvicinamento, o quando i controlli non vengono effettuati sui soggetti sottoposti a misure cautelative”. Lo spiega a TPI Pierluigi Fanchitto, avvocato specializzato in violenza di Genere.

    Dove sta l’inghippo? L’inghippo sta nel fatto che le ordinanze poi possono non essere rispettate, perché mancano i controlli. Le problematiche che permangono riguardano l’eccessiva libertà di interpretazione della legge da parte dei giudici: molto dipende da questa figura, da come applica i provvedimenti. E dalla diversa prontezza delle Procure. Le misure vengono date e tolte a procedimento in corso, se ci fosse maggiore attenzione ci sarebbe un occhio diverso per controllare come e quando vengono date le misure”, prosegue Fanchitto.

    Si può ottenere qualcosa di più con l’inasprimento delle leggi? “No, il protocollo del codice rosso esiste ma dipende ogni procura come lo applica. Il problema è che il diritto non è matematica, la norma viene interpretata in base al soggetto. Bisogna ridurre i margini di interpretazione, ma nel diritto penale è stato sempre molto fallimentare questo tentativo, ci sono le garanzie costituzionali. Il fatto di cronaca, il reato, è uguale da Torino a Caltanissetta, ma la reazione della Procura è diversa. Allora le riflessioni riguardano quanto si può essere da pungolo alla Procura e alle amministrazioni. Il problema è delegare così tanto alle associazioni e ai centri violenza responsabilità così grandi, si possono creare sinergie, ma va strutturato e affrontato il modo diversa la protezione. La soluzione sta in procedure meno interpretabili e controlli più serrati sulle Procure, lo strumento c’è pure, ma si deve applicare”.

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