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    Stupro di gruppo in discoteca a Roma, il Dna incastra il ragazzo che diceva di essere innocente

    Il sospettato Gabriel Pap Razvan

    Il cerchio si stringe sugli altri due stupratori

    Di Maria Teresa Camarda
    Pubblicato il 22 Lug. 2019 alle 09:45 Aggiornato il 10 Gen. 2020 alle 20:22

    Ragazza violentata al Factory di Roma, il Dna incastra il primo stupratore

    Ragazza violentata al Factory Club di Roma, il Dna incastra il primo stupratore. Lo stesso che fino all’ultimo, durante l’interrogatorio, si era dichiarato innocente.

    Stando alle tracce di saliva rinvenute sul corpo della ventunenne etiope, anche Gabriel Pap Razvan, 25 anni, farebbe parte del gruppo di tre persone che ha violentato la ragazza nei bagni della discoteca romana. Una violenza che, secondo quanto gli inquirenti hanno ricostruito, non si è fermata nemmeno quando la vittima era ormai sfinita e praticamente priva di conoscenza.

    Anzi, dagli esami della scientifica, pare che proprio Gabriel Pap Razvan sia stato l’ultimo a violentarla. Prima di tornare in pista dalla sua fidanzata.

    Ora gli investigatori sono pronti a stringere il cerchio attorno agli altri due stupratori.

    Stupro al Factory Club, come sono andati i fatti

    Lo scorso 18 maggio, la ragazza etiope di 21 anni è arrivata al Factory Club con alcuni amici. In pista ha conosciuto un ragazzo, un frequentatore abituale del locale, pare. I due si piacciono e cominciano a flirtare. Poi, lui porta la giovane verso il locale delle caldaie. Lì, la stupra.

    Non si sa come e quando gli altri due si sono uniti alla violenza, se di propria spontanea volontà o se invitati dal primo stupratore, fatto sta che alla fine a violentare la vittima sono stati in tre.

    La ragazza urla, piange, ma nessuno riesce a sentirla per via della musica del locale. Fino a quando perde quasi i sensi.

    Quando tutto è finito, una volta riacquistata un po’ di forza, si presenta dai gestori del locale e racconta quello che è successo.

    Dei tre uomini non c’è più traccia al Factory, lei non sa il nome del suo aguzzino, o forse gliene hanno dato uno falso, ma è riuscita comunque a descrivere agli inquirenti alcuni particolari importanti sull’abbigliamento dei suoi aggressori. E uno dei tre indossava un giubbetto scuro, simile a quello degli addetti alla sicurezza.

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