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    Il portavoce delle vittime del Trivulzio a TPI: “Aiutateci, vogliamo la verità sui contagi e i morti nella RSA”

    Un’ambulanza esce dal Pio Albergo Trivulzio durante le perquisizioni della Guardia di Finanza al Pio Albergo Trivulzio a causa dei decessi avvenuti in seguito all’epidemia coronavirus all’interno della struttura, Milano 14 aprile 2020. Ansa/Matteo Corner

    Intervista ad Alessandro Azzoni, rappresentante dei parenti degli ospiti del Pio Albergo Trivulzio: “Pretendiamo di avere risposte e dati ufficiali”

    Di Lorenzo Zacchetti
    Pubblicato il 20 Apr. 2020 alle 21:33 Aggiornato il 22 Apr. 2020 alle 07:56

    “Il nostro è un grido di aiuto, dateci una mano affinché arrivi alle orecchie delle istituzioni, perché nessuno finora ci ha dato una risposta. I nostri anziani sono la nostra storia e la nostra memoria, non delle righe del bilancio regionale. Sono uomini e donne che ci hanno dato la vita. Vogliamo essere sicuri che ricevano le cure di cui hanno bisogno, vogliamo un commissario che prenda in mano la situazione del Pio Albergo Trivulzio e consenta di garantire la salute di tutti gli ospiti, perché abbiamo paura che la situazione sia fuori controllo”.

    Sono decisamente toccanti i contenuti dell’intervista con Alessandro Azzoni, portavoce del Comitato “Giustizia e Verità per le vittime del Trivulzio”. Imprenditore di 45 anni, Azzoni era da tempo impegnato nel sociale, ma certamente avrebbe fatto a meno del suo più oneroso ruolo pubblico, che gli è cascato sulla testa all’improvviso.

    “Mia madre soffre di Alzheimer. Due anni fa l’ho ricoverata al Pio Albergo Trivulzio nella convinzione che fosse il posto più adatto per lei”, racconta a TPI. “Volevo che avesse le migliori cure del caso, anche pagando una retta piuttosto onerosa, cioè 2.600 al mese”.

    Aveva mai avuto problemi con la struttura, prima dell’esplosione del Coronavirus?
    Qualche volta abbiamo osservato una cura della persona magari non impeccabile, ma dal punto di vista dall’assistenza sanitaria non c’è mai stato nulla da ridire

    Quando sono cominciati i problemi?
    Lo scorso 25 marzo ho ricevuto una telefonata nella quale venivo informato del fatto che mia madre aveva 38° di febbre. Contestualmente mi si chiedeva l’autorizzazione a legarla, in modo che non potesse deambulare per il reparto e quindi infettare il resto del reparto

    Legarla?
    Sì. Oltretutto a chiedermelo era un medico che non conoscevo, invece della dottoressa che da due anni la seguiva in reparto. Allarmato dalla situazione, ho chiesto se la febbre dipendesse dal Coronavirus, ma non avendo eseguito i tamponi non mi hanno saputo rispondere. Oltretutto ho fatto presente che mia madre era in una camera doppia, per cui era necessario sapere se la sua compagna di stanza fosse positiva o meno, altrimenti anche legarla non sarebbe servito a molto. Si sarebbe dovuto spostarla in un’altra stanza e isolarla, ma mi hanno risposto che non era possibile. Io non sono un medico, ma a buon senso credo che si possa dire che l’isolamento è fondamentale

    Cosa le hanno risposto?
    Che questo non era previsto. E io ho negato l’autorizzazione, dicendo al medico che mia madre non doveva assolutamente essere legata. Oltretutto, trattandosi di una paziente con Alzheimer, subire un trattamento del genere senza capire cosa stesse succedendo avrebbe certamente fatto montare in lei un pericoloso senso di angoscia

    Cosa è successo dopo?
    I giorni successivi sono stati molto difficili. Continuavo a chiamare in reparto, ma non mi rispondevano, oppure suonava occupato. E quando mi rispondevano, spesso era un infermiere sconosciuto, che non era al corrente della situazione di mia madre e quindi mi invitava a richiamare in un altro momento. Però, dopo qualche tempo, mi è arrivata un’informazione tranquillizzante: mi hanno detto che mia mamma presentava solo la febbre e nessun sintomo respiratorio, quindi sembrava una forma lieve di Coronavirus e che l’avrebbero curata con la Tachipirina

    Quindi in quel momento le hanno ufficializzato che si trattava di Coronavirus?
    No, perché i tamponi non erano stati eseguiti. Me lo hanno detto in modo ufficioso, dopo circa una settimana, basandosi sul quadro generale. Tuttavia, le loro parole mi avevano tranquillizzato: mi dicevano che era una delle persone che stavano meglio e che girava allegramente per il reparto, quindi sono stato sereno fino a Pasqua

    Poi cos’è successo?
    Il lunedì di Pasquetta ho telefonato in reparto e mi hanno descritto uno scenario completamente diverso. Altro che andare tutto bene! Mi hanno detto che tutti i pazienti erano gravissimi, che sei di loro erano già morti e che mia madre da una settimana giaceva annichilita in un letto, senza mangiare, bere e parlare. A quel punto, mi è crollato il mondo addosso

    Capisco. Come ha reagito?
    Ho dato immediatamente una testimonianza ai giornali perché rendessero noto il mio grido di aiuto. Questo ha fatto sì che mi contattassero numerosi parenti di persone ricoverate, tutti con storie simili alla mia. Dai loro racconti, ho ricavato un quadro tragico della situazione del Trivulzio, cosa che ha ulteriormente aumentato la mia preoccupazione

    Che cosa le è stato raccontato?
    All’interno del PAT ci sono mille ospiti e dovrebbero esserci più o meno altrettanti operatori, per un totale di circa duemila persone. Un piccolo paese. Da quanto mi hanno raccontato e dalle cronache dei giornali, sappiamo però che lo staff è decimato dalla malattia e che sta facendo i salti mortali per tenere in piedi la struttura. Anzi, mi lasci dire che a tutti i medici e infermieri che si stanno prodigando per la salute dei nostri familiari, va la nostra massima riconoscenza e solidarietà. Però, se a questo quadro difficile aggiungiamo che è in corso un’inchiesta, temiamo che la dirigenza non abbia la serenità necessaria per poter garantire la salute dei nostri cari in questo momento di emergenza. Il nostro è un grido di allarme, affinché si faccia in modo che vengano seguiti i protocolli necessari a garantire la salute degli ospiti e degli operatori. Ma se non fanno i tamponi, come fanno a dividere gli ospiti contagiati da quelli sani? Si stanno facendo queste verifiche?

    Chi è il vostro interlocutore? A chi ponete queste domande?
    Purtroppo, non abbiamo nessun interlocutore. Ne’ nel PAT, dove al massimo possiamo telefonare in reparto, ne’ nelle istituzioni, il cui silenzio è assordante. Stiamo cercando il modo per ottenere risposte

    Se aveste davanti la Regione Lombardia, responsabile della gestione sanitaria, che cosa vorreste chiederle?
    Noi vogliamo sapere i dati reali, perché li stiamo ricavando da una stima fatta dalle testimonianze ricevute! Abbiamo diritto a sapere i numeri ufficialmente, dall’Assessore Gallera. Ci deve dire se ad oggi la situazione è sotto controllo, se va tutto bene. Noi non aspettiamo altro che ci dia i dati: quanti sono i tamponi eseguiti? Quanti sono gli ospiti deceduti? Gli ospiti sani sono separati da quelli contagiati?

    Purtroppo si sono verificati molti decessi anche in altre RSA, non solo lombarde…
    Sappiamo che non è un caso isolato, tuttavia il Trivulzio è una situazione del tutto particolare, anche per il numero di persone coinvolte. Certo, con i dati del contagio che tutti conoscono, appare ancora lontana una data nella quale la Lombardia possa tornare normalità, soprattutto se non si intraprendono tutte le azioni necessarie per contenere l’epidemia in corso

    Nei giorni scorsi lei si è rivolto direttamente alla magistratura, che oggi ha iniziato le audizioni…
    Si, come altri parenti di ospiti del Trivulzio ho depositato un’istanza per raccontare i fatti di cui sono a conoscenza, al fine di per contribuire all’inchiesta, e per richiedere che il Trivulzio venga commissariato, per garantire il normale svolgimento delle attività sanitarie e di cura.

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