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    Sequestra, picchia e violenta la compagna. Ma i giudici: “Pena ridotta, lei troppo disinvolta”

    Per i giudici di Milano, un uomo che sequestra, picchia e violenta per tutta la notte la convivente, ha diritto a una pena minore se la donna ha tenuto "una condotta troppo disinvolta"

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 18 Set. 2020 alle 09:25

    Un 63enne romeno che aveva sequestrato la convivente nella propria roulotte, picchiandola e violentandola per una notte fino all’arrivo dei carabinieri, ha visto la sua pena ridotta dalla Corte d’Appello di Milano, perché secondo i giudici l’uomo era stato “esasperato” dalla condotta “troppo disinvolta” della donna. La notizia è riportata in esclusiva dal Corriere della Sera e si riferisce alle drammatiche ore vissute da una 43enne romena la notte dell’8 giugno 2019 a Vimercate, in provincia di Monza.

    L’uomo aveva insultato e minacciato di morte la convivente, alla quale “imputava tradimenti con uomini conosciuti su Facebook”. Le aveva puntato un coltello al viso, strappato di mano e gettato a terra il telefonino, poi l’aveva picchiata con un tavolino di legno, colpita con schiaffi e pugni e trascinata sul letto. Qui l’aveva aggredita e costretta a compiere atti sessuali. “Di qua non esci viva”, l”aveva minacciata l’uomo.

    A condannare l’uomo in primo grado era stato il Tribunale di Monza, che aveva stabilito nella sua sentenza una pena di 5 anni dopo il rito abbreviato. Ma la i giudici milanesi in secondo grado hanno ridotto la pena a 4 anni e 4 mesi. A stupire sono soprattutto le motivazioni della sentenza, firmata dalla giudice relatrice Francesca Vitale con il presidente Marco Maria Maiga e la collega Elena Minici, secondo le quali l’intensità del dolo di quei tre reati è attenuata dal fatto che l’uomo – definito un “soggetto mite” sulla base del percorso intrapreso in carcere – fosse “esasperato dalla condotta troppo disinvolta della donna”, che “aveva passivamente subìto sino a quel momento”.

    Il tutto, sottolineano i giudici, va inserito in un “contesto familiare degradato” e “caratterizzato da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini, dall’imputato quasi favorite o comunque non ostacolate” finché lei “rimase incinta di un altro soggetto”. Per questi motivi i giudici hanno accolto il ricorso in merito “all’eccessività del trattamento sanzionatorio” e ridotto la pena.

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