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    Quando la vita viene prima di qualsiasi legge: donne incinte e minori salvati da Ong Mediterranea

    Credit: Valerio Nicolosi
    Di Valerio Nicolosi
    Pubblicato il 5 Lug. 2019 alle 11:10 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:28

    Open Arms | SAR | Salvataggio | Mediterranea

    Open Arms – “C’è un target a sud, in zona SAR libica, ce lo ha comunicato la Alan Kurdi”. Me lo dice Riccardo Gatti, con la sua solita serenità che non perde mai, nemmeno nei momenti concitati. Mano sulla spalla e ti dice che da quel momento la missione può cambiare, può avere un punto di svolta. Prima di scendere in acqua c’è sempre un mix di adrenalina e agitazione.

    Si è pronti all’azione ma al tempo stesso davanti a noi appare un grande punto interrogativo. Non sappiamo cosa troveremo davanti a noi. In pochi minuti siamo in acqua con i gommoni veloci, andiamo a massima velocità aspettando istruzioni.

    Siamo ancora in zona SAR maltese quindi puntiamo verso sud nella speranza che stiano tutti bene, che non ci siano morti ma soprattutto di arrivare prima della sedicente Guardia Costiera libica e mettere in salvo le persone.

    > Oscar Camps, fondatore di Open Arms, a TPI: “Il rilascio di Carola è uno schiaffo magistrale al Decreto Salvini”

    Credit: Valerio Nicolosi

    Open Arms | Il salvataggio sul veliero Alex

    Il mare è piattissimo e nonostante i 30 nodi di velocità non saltiamo come pazzi e riesco ad ascoltare le comunicazioni via radio tra la Open Arms e la Alex, veliero di Mediterranea.

    Ad un certo punto sento la Alex che dice: “Li abbiamo presi a bordo tutti e 55, ci sono 11 donne di cui 3 incinte, 11 minori di cui 4 piccoli. Abbiamo bisogno di un medico”. Il motore del gommone frena immediatamente, parliamo con la Open Arms e viriamo di 180 gradi. “Tornate qua, il team medico si sta preparando” ordine dato velocemente, senza pensarci due volte.

    La Alex con tutte quelle persone a bordo è davvero piccola. Pochi metri di veliero per quasi 70 persone, esplode! Saltiamo a bordo e portiamo con noi l’ecografo per verificare subito la condizione delle donne in gravidanza.

    Quella che è nello stato più avanzato si muove con difficoltà nella coperta affollatissima, la aiutano e piano piano con le dottoresse riesce a ritagliarsi uno spazio.

    Credit: Valerio Nicolosi

    Open Arms | Donne e bambini a bordo

    Io faccio due passi indietro, sono uomo e ho la macchina fotografica. Non voglio essere invadente e soprattutto non so in che condizioni fosse in Libia.

    Le dicono che sta bene ma non riesce ad essere felice, dice che è sola e suo marito non c’è. Non approfondisce e in questi casi è giusto lasciare le cose così. Il dubbio che questa gravidanza sia frutto di uno stupro è molto alta e, subito dopo un soccorso, è meglio non indagare.

    Il rito si ripete e stavolta viene una donna incinta di qualche mese. È tesa, gli occhi trasmettono preoccupazione e si muovo a molto rapidi alternando lo sguardo alla pancia e a quello della dottoressa.

    Passa circa un minuto ma credo che la sua percezione fosse di almeno 10 minuti. Quando la dottoressa le dice che il bambino è sano e che tutto va bene scoppia in un sorriso contagioso, tutti ridiamo accanto a lei.

    La mano sinistra era nella mano dell’infermiera la teneva stretta, la libera, porta un dito in bocca e lo morde mentre continua a sorridere. Piano piano si alza e le passano suo figlio che avrà non più di 3 anni.

    Credit: Valerio Nicolosi

    Open Arms | La vita prima di tutto

    Lo prende, lo bacia e torna a sedersi abbracciandosi con il marito. Tutti sono salvi e tutti stanno bene, questa è la cosa più importante, il problema ora è che la Alex è davvero piccola per portare tutte queste persone. Erasmo Palazzotto, deputato di Sinistra Italiana e capo missione a bordo di Mediterranea, chiama subito per avere un porto di sbarco.

    Prima il Centro di Coordinamento Marittimo di Roma ipotizza uno sbarco a Zarzis, in Tunisia, successivamente cambia idea visto che le norma internazionali non lo consentirebbero.

    Cerco di andare a prua dove ci sono gli uomini, uno di loro mi racconta della permanenza in Libia: “Se hai la pelle nera è pericoloso, rischi che ti rapiscano per strada e ti portino in prigione. Io ho provato ad imbarcarmi 3 volte, solo l’ultima mi è andata bene, grazie a voi! Ho pagato circa 1000€ per essere liberato, ogni volta la mia famiglia si indebitava per salvarmi la vita”.

    Dopo qualche minuto che parliamo mi mostre le ferite causate dalle torture nelle prigioni libiche. Torno a poppa dove c’è da distribuire coperte e cibo. Iniziano i preparativi per notte, le donne e i bambini dormiranno dentro, gli uomini potranno utilizzare più spazio fuori.

    Resta giusto il tempo di vedere dei delfini saltare vicino alle nostre navi, quasi a dire alle persone salvate “Benvenuti in Europa, ora siete al sicuro”.

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