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    In Italia la seconda ondata Covid ha fatto più morti della prima

    Una bara di un defunto per Covid Credits: ANSA
    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 22 Dic. 2020 alle 10:42

    La seconda ondata di contagi da Coronavirus è più grave della prima. A dimostrarlo è la comparazione dei dati di primavera con quelli attuali.

    I dati a confronto

    Partendo dal numero di decessi registrati in Italia a causa del Coronavirus, da febbraio a maggio i morti sono stati 33.415. Ad oggi, con la seconda ondata ancora in atto, siamo già a 33.731, un dato che sale a ritmo costante. Stando al parere degli esperti, in Italia si arriverà a 45mila decessi.

    Stessa storia per i contagi. Ad oggi il numero di persone realmente infette è pari a 3.9 milioni e, stando agli studi sull’andamento della curva epidemiologica, potremmo arrivare a 4.5 milioni. Nella prima ondata, invece, sono stati registrati 2.3 milioni di contagi.

    Inoltre, nella prima ondata il picco di ricoveri ordinari è stato registrato il 4 aprile raggiungendo oltre 29mila pazienti. Il 23 novembre siamo arrivati a quota 34.697 persone ricoverate contemporaneamente in tutta Italia.

    Per quanto riguarda le terapie intensive, invece, nella prima ondata il picco è stato raggiunto il 3 aprile con oltre 4mila persone ricoverate, mentre nella seconda ondata il picco è stato il 25 novembre con 3.848 pazienti. La differenza, però, tra la prima e la seconda ondata è che nella prima dopo 3 settimane il calo dei ricoveri è stato del 48 per cento, mentre nella seconda è stato solo del 26 per cento.

    Più contagi ma tasso di mortalità più basso

    Nonostante queste evidenze, i numeri dicono anche che nella seconda ondata non è andato tutto nel peggiore dei modi. Rispetto a marzo dove i contagi raddoppiavano ogni 2-3 giorni, a novembre è accaduto ogni 7-8 giorni. Nella prima ondata su 100 contagiati ne morivano 1.2, mentre nella seconda ondata questo dato risulta dello 0.8 per cento.

    I ritardi e le valutazioni sbagliate

    Sin dall’inizio della pandemia il comitato tecnico-scientifico ha avvertito il governo della possibilità concreta di una seconda ondata di contagi. A marzo era stato stabilito infatti che si mettessero in campo degli accorgimenti utili a far sì che il sistema sanitario fosse pronto a gestire la seconda ondata e limitare i danni. In primo luogo non si è dato ascolto al Cts riguardo alla necessità di un protocollo unico per l’assistenza a domicilio.

    I tecnici lo hanno richiesto lo scorso 16 marzo ed una prima bozza con le linee guida per i medici di base è giunta solamente il 16 novembre. Era necessario aumentare il numero di medici di base e abbassare il massimale dei pazienti per ciascun medico, invece è stato fatto il contrario, innalzandolo per ogni medico poiché non si trovavano dottori.

    Insomma la prima linea di contrasto al Covid si è trovata nuovamente inerme ad affrontare la pandemia. Lo stesso è accaduto per il personale medico negli ospedali. Se nella prima ondata sono stati impiegati i giovani, in questa seconda i giovani sono stati bloccati in favore di medici in pensione pronti a dare una mano.

    Un errore di valutazione è stato fatto anche per le terapie intensive: a fine prima ondata era stato portato ad 8.421 il numero posti letto, ma durante l’estate non è stato mantenuto. C’era la convinzione di poterli attivare rapidamente, ma ci sono voluti due mesi per riportarlo ai numeri di fine prima ondata (oggi sono 8.621).

    Tracciamenti nel caos

    Infine c’è stato un ritardo nella risposta. L’Italia è stato il primo Paese ad ammettere di non poter più fare il tracciamento dei contatti. Era l’inizio di ottobre e significava che la curva dei contagi stava salendo a tale velocità da rendere impossibile contenerla. A quel punto bisognava prendere delle misure drastiche, ma il sistema a semaforo ideato dal governo e dal Cts è entrato in vigore solamente un mese dopo.

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