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    Dietro le quinte dei laboratori in Puglia che hanno isolato la variante inglese

    I biologi del laboratorio di Foggia. Credits: IZSPB

    L'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata è stato il primo in Italia a codificare il genoma virale della variante di Coronavirus rintracciata nel Regno Unito. I biologi, tecnici e veterinari dei laboratori pugliesi svolgono un lavoro meno noto rispetto a quello di medici e operatori sanitari, ma altrettanto fondamentale per conoscere il virus

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 31 Dic. 2020 alle 12:21 Aggiornato il 31 Dic. 2020 alle 19:02

    Si trova in Puglia l’Istituto Zooprofilattico che ha isolato per primo in Italia la variante inglese del Coronavirus: un centro diagnostico che da un secolo si occupa della biologia molecolare di animali e alimenti attraverso il lavoro di laboratori distribuiti su tutto il territorio, e che a marzo 2020 è stato in parte riconvertito per svolgere attività di diagnosi e analisi del Covid sull’uomo.

    Gli scienziati dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata hanno processato in un anno oltre 50mila tamponi con una media di 300 test al giorno, e analizzato centinaia di provette a settimana per lo studio del plasma nei pazienti guariti. Dopo l’allerta lanciata dalle autorità britanniche sulla diffusione di una variante apparentemente più contagiosa rintracciata nella contea del Kent, i tamponi delle persone rientrate dal Regno Unito sono stati inviati alla sede di Foggia e al laboratorio genetico di Putignano. Qui la variante inglese è stata identificata e isolata.

    Non era la prima osservata da inizio pandemia: da marzo gli scienziati dei laboratori pugliesi analizzano in provetta le copie del materiale genetico del virus, ne codificano il genoma, studiano le basi azotate che permettono alla proteina Spike di avvicinarsi alle nostre cellule. Ma di questa si sono occupati in prima linea. Lorenzo Pace, biologo 33enne originario di Foggia, spiega che si è trattato di fortuna. “È stato un caso che i primi tamponi del virus mutato siano arrivati proprio da noi”, dice a TPI. Ma è stata l’esperienza maturata in laboratorio che ha permesso di studiarlo.

    Isolare il virus in provetta

    “I virus si isolano anche lavorando con la sanità animale, la tecnica è la stessa ma cambia il materiale biologico di partenza, per questo siamo stati chiamati in causa già da marzo, si partiva da un’esperienza di biologia molecolare. Avendo a disposizione un laboratorio di massima sicurezza, un BL3 dove può essere coltivato il virus, ci hanno chiesto di iniziare a fare isolamenti”. Isolare, spiega Pace, significa ottenere il virus in purezza. Si parte seminando il tampone su delle cellule: il virus replicherà in vitro lo stesso comportamento che adotta nel nostro organismo quando infetta le cellule. “Una volta distrutte tutte le cellule presenti, nel liquido si hanno migliaia di copie virali di virus puro che possono essere utilizzate per altri studi”, osserva il biologo.

    I campioni ottenuti dalle colture si possono osservare al microscopio per capire come gli agenti patogeni agiscono sui tessuti, essere utilizzati per testare nuovi farmaci o un vaccino. “Informazioni che messe a disposizioni della comunità scientifica aiutano a comprendere il fenomeno”, osserva Antonio Parisi, direttore della sezione di Putignano. Un lavoro che va avanti dietro le quinte della pandemia, in parallelo a quello che ogni giorno medici e operatori svolgono in prima linea negli ospedali.

    “Chi sta in laboratorio e i biologi non vengono citati però da qui anche noi nel nostro piccolo contribuiamo a casellare i vari pezzi del puzzle”, dice Ines della Rovere, 32enne di Foggia che insieme al team guidato dal dirigente Domenico Galante ha coltivato il virus in provetta. Sono tecnici di laboratorio, veterinari e biologici. Hanno tra i trenta e i quarant’anni, vengono quasi tutti da Foggia e provincia ma hanno studiato altrove per poi tornare in Puglia e giocare in casa. “Un lavoro faticoso che però ha dato le sue gratificazioni”, continua Pace, che è anche stato uno dei primi operatori a sottoporsi al vaccino Covid di Pfizer domenica 27 dicembre.

    Codificare il genoma virale

    Parallelamente all’isolamento in vitro, i ricercatori del laboratorio genetico di Putignano guidati da Antonio Parisi si sono occupati dell’analisi genetica dell’Rna del tampone, e cioè di leggere la sequenza virale del genoma e codificarlo: così hanno verificato la corrispondenza con il codice rintracciato dagli scienziati britannici. “In due giorni ci siamo resi conto che era perfettamente compatibile con la variante inglese, presentava tutte le caratteristiche”, racconta a TPI Parisi. Adesso bisognerà capire che impatto ha avuto sulla curva epidemiologica del nostro Paese e attendere l’analisi dei tamponi dei contatti atterrati in Puglia nei giorni successivi all’allarme per verificare se ci sono stati altri casi. “All’inizio dell’anno nuovo ci saranno altre conferme”, continua il virologo.

    Ma lo studio della sequenza che compone il genoma non ha solo una funzione diagnostica. Non sarà solo utile a capire quanti casi di Coronavirus provocati dalla “variante inglese” sono stati introdotti sul territorio, ma anche a comporre la mappa di come il virus si muove e si distribuisce tra le persone tenendo traccia delle mutazioni. Il contributo di un team come quello di Parisi è proprio quello di comprendere come la popolazione del Covid è organizzata ed evolve nel tempo. Un altro apporto fondamentale per un virus a Rna che muta costantemente.

    “Ritengo che in una partita così complessa ci sono tanti ruoli da giocare. Il nostro è di sorveglianza. Come istituto lo facciamo per tante malattie, ma la sorveglianza di questo Coronavirus ci fornisce informazioni su quello che sta capitando, e se non abbiamo dati storici sarà difficile studiare l’evoluzione del fenomeno. Se domani dovesse insorgere una variante ungherese e non abbiamo dati di sorveglianza attuale, sarà difficile arrivare a capire come il virus si è modificato e dove va”, continua Parisi.

    Coordinarsi per comporre la mappa del virus

    Eppure per dare un apporto significativo alla conoscenza del Coronavirus è necessario che queste attività siano coordinate su tutto il territorio nazionale perché  “la sensazione è che vengano svolte in maniera differente a seconda delle Regioni”. “Un metodo uguale per tutti per arrivare a codificare questo tipo di informazione restituirebbe un’immagine molto più rispondente di come si distribuisce la malattia”.

    Studi estemporanei e risorse ci sono, spiega Parisi, “in Puglia abbiamo fatto oltre 200 campionamenti”, ma senza un metodo uguale per tutti la mappa avrà delle distorsioni legate al “bias di campionamento”. È necessario insomma che il Ministero della Salute e le task force sanitarie regionali elaborino un piano coordinato in funzione dell’incidenza della malattia, dando indicazioni univoche per ottenere una mappa affidabile e completa di come la pandemia evolve, perché conoscendola la si potrà sconfiggere.

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