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    Bergamo, qui hanno smesso di suonare le campane per non far soffrire le persone

    Credit: Ansa foto

    Il racconto di Clarissa Adobati da Zogno, nella bergamasca, una delle zone più colpite dal Coronavirus

    Di Clarissa Adobati
    Pubblicato il 19 Mar. 2020 alle 18:52 Aggiornato il 19 Mar. 2020 alle 19:16

    Bergamo, qui hanno smesso di suonare le campane per non far soffrire le persone

    Silenzio. Un silenzio assordante, che non si riesce a colmare nemmeno con qualche canzone al balcone. Perché il silenzio, a Zogno, ormai l’abbiamo dentro. Per rispetto, per tristezza e per paura. Ci siamo visti catapultati in una dimensione nuova, mai vista prima, ed è qui che regna il silenzio.

     

     

    Si è fatto strada velocemente. Non c’è più la gente in centro al paese, le strade sono deserte, le saracinesche di bar e negozi abbassate. Quelli che prima erano luoghi di aggregazione ora sono vuoti e non c’è altro se non il silenzio. In pochi giorni, ha preso il posto delle risate dei bambini e dei ragazzi all’oratorio, delle chiacchiere delle persone che passeggiano per la strada. Ha preso il posto dei discorsi al bar tra signori anziani, con il loro classico bianchino, che si raccontano quanto è bella la vita.

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    Eppure, proprio dietro di loro ci siamo nascosti, con una semplice frase “muoiono solo gli anziani con patologie”, quasi ad esorcizzare la paura di un virus che ci è sempre sembrano tanto lontano, fino a quando è venuto a bussare alla porta della nostra casa. È in quel momento che, anche noi, abbiamo dovuto fare i conti con questo ‘ospite non gradito’. Le giornate passano lente, tristemente scandite dalle sirene delle ambulanze, tra il sollievo di contarne poche e la consapevolezza che sono sempre troppe.

    Si, troppe. Troppe come le persone che ci stanno lasciando in questi giorni, che fino a poco tempo fa venivano ricordate dai rintocchi delle campane, che ora non suonano più ad ogni decesso, ma solo una volta la sera, quasi a lenire un po’ il dolore e la tristezza. “Abbiamo costruito noi tutte le nostre vite sulla ‘rincorsa’, sull’avere, sull’apparire e ora a picconate tutto questo viene distrutto”, riflette Don Simone.

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    Poi ogni tanto, qualche spiraglio di luce; ed è quella della solidarietà, che vedo negli occhi dei volontari, degli alpini e di tutti coloro che si adoperano per garantire beni di prima necessità a coloro i quali si trovano soli, senza poter uscire di casa. La vedo nei medici, negli infermieri e in tutti gli operatori sanitari che a Zogno si stanno mettendo in gioco per garantire assistenza. La vedo negli occhi del Don, che fa sentire la sua vicinanza attraverso video in cui racconta storie ai bambini e si fa portavoce della sete di affetto, amore e normalità che tutti noi qui ora abbiamo.

    Infine, c’è una luce, che è forse quella più forte di tutte. È una luce che vedo in tutte le persone che mi circondano: quella della vita e della relativa voglia di viverla appieno. Ho visto anche una luce, colorata, vivace, quella degli arcobaleni disegnati sui lenzuoli appesi ai balconi, accompagnati dalla frase “andrà tutto bene”. Una luce di speranza, di positività e di coraggio. Ogni volta che guardo verso l’alto sorrido, penso ai bambini che hanno colorato, nella loro ingenuità. Piccoli per capire davvero quello che sta succedendo, ma grandi abbastanza per comprendere la presenza di un ‘cattivo’ che preoccupa papà e mamma.

    “Vedo tempo vissuto insieme, cose impensabili che si colorano di speranza. Sento comunione di cuori e desiderio di comunità. Quando e come ne usciremo? Non lo so… So per certo che ciò che ci aiuterà sarà la nostra umanità e il capire che non siamo, ne saremo mai onnipotenti. Avremo, però, negli altri la forza di ripartire… anche a Zogno. E di forza ne avremo molta”, continua Don Simone. Alla fine, lo so, caro mio Zogno, che tornerà il sereno. Torneremo a sorridere, a stare insieme e a viverti, portando con noi l’indelebile ricordo di chi ci ha lasciati.

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