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    Con il lockdown aumentano i casi di Reveng Porn: ecco come difendersi

    Di Alessia Bausone
    Pubblicato il 20 Apr. 2020 alle 15:21 Aggiornato il 20 Apr. 2020 alle 17:07

    Tutti noi stiamo vivendo lo stravolgimento del nostro stile e delle nostre abitudini di vita che la pandemia e il successivo lockdown ci hanno imposto. Molto di ciò che faceva parte della nostra esistenza ora è vissuto nel mondo virtuale: il lavoro, lo studio, il tempo libero. Sarebbe miope non ritenere che anche la sfera sessuale non abbia risentito degli effetti delle restrizioni di Stato che ci relegano in casa da settimane. Difatti, oltre alla propensione all’onanismo virtuale di una platea (ahimè, già ampia) di internauti affezionati, di fronte all’emergenza vi sono altrettanti neofiti che si approcciano ad una realtà virtuale divenuta realtà sessuale: il sexting.

    E se il Ministero della Salute argentino ha, addirittura, formalmente incoraggiato la popolazione a praticare il virtual sex e l’autoerotismo fino alla fine della pandemia come misura di contenimento del virus, occorre tenere alta la guardia nei confronti di talune distorsioni di quel mondo, come i casi in cui le immagini intime e private vengono diffuse senza consenso e per risentimento o vendetta. Si chiama “Revenge Porn” ed è un fenomeno che la legge italiana ha normato con grande ritardo lo scorso anno (pioniere furono le Filippine con l’”Anti-Photo and Video Voyeurism Act” del 2009). L’articolo 10 della legge sul Codice Rosso (la 69/2019) ha introdotto nel codice penale l’articolo 612ter nominato “diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti” che punisce, con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 5mila a 15mila euro, “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate”.

    E del fatto che non si tratti di un fenomeno sporadico o di nicchia lo testimonia la Polizia Postale, che nei giorni scorsi ha lanciato l’allarme dai propri canali social e con un comunicato stampa sottolineando il gran numero di denunce intervenute anche durante il lockdown invitando gli internauti alla massima prudenza. Inoltre, è stata lanciata l’app YouPol, che permette all’utente web di interagire con la Polizia di Stato inviando direttamente segnalazioni (immagini o testo) relative a episodi di Revenge Porn, geolocalizzandole e consentendo di conoscere in tempo reale il luogo degli eventi. E se, parallelamente in questo mondo parallelo, anche il collettivo hacker di Anonymous ha lanciato l’operazione “RevengeGram” pubblicando nomi e cognomi di pedofili, maniaci sessuali e criminali che nascosti dall’anonimato in rete commettevano reati di pedo-pornografia e revenge porn, sgominati soprattutto tra le chat segrete di Telegram, è lecito interrogarsi su come si possa auto-tutelarsi senza spegnere pc e smartphone.

    Oltre alla prudenza invocata dalla Polizia Postale, non penso sia profano parlare di Netiquette, ossia quell’insieme di regole informali che disciplinano il buon comportamento di un utente sul web, il “galateo virtuale” applicato al sexting. Il rispetto reciproco, la riservatezza in merito ai contenuti scambiati, la piena consapevolezza dello strumento e delle proprie azioni e degli eventuali mezzi di tutela, sono tutte basi per interazioni mature e di qualità, evitando le odiose derive per cui occorre continuare a lottare su ogni fronte.

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