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Home » Ambiente

Tredici proposte per reinventare la sostenibilità

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Sostenibilità sociale e ambientale debbono conciliarsi per creare la prosperità. L’umanità possiede già le conoscenze tecniche ed organizzative necessarie, occorre la scelta politica di sostenerne i costi

Articolo pubblicato da Stradenuove.net

L‘anidride carbonica si accumula nell’atmosfera ormai da secoli. La Rivoluzione Industriale ha mantenuto le promesse dell’Età Moderna, grazie a un impiego sempre crescente di energia. Così dalle prime macchine a vapore alle centrali termoelettriche, l’energia è stata prodotta bruciando i combustibili fossili, carbone, petrolio, gas.

Il riscaldamento climatico si manifesta quale conseguenza a lungo termine di una struttura storica profonda, ovvero dell’attuale sistema economico. Per questa ragione, rispondere alla sfida del clima equivale a ristrutturare il sistema da cui dipendono la nostra occupazione, la produzione, la ricchezza, lo stile di vita. Ridurre l’impiego dei combustibili fossili ed in conseguenza le emissioni dei gas climalteranti, significa destabilizzare l’economia e rallentare la crescita: una scelta politica difficilissima, perché una crescita tenue comporta l’aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze. Almeno per il momento.

Graeme Maxton e Jorgen Randers, hanno sviluppato il loro rapporto al Club di Roma, Reinventare la Prosperità (2016; ed. Ita. 2020), nello spazio -meno stretto di quanto si possa credere- tra sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale; avanzando tredici proposte per contrastare il cambiamento climatico e migliorare assieme il benessere delle persone.

Maxton e Randers sono economisti ed esperti di clima, già impegnati all’interno di istituzioni importanti come la Banca Mondiale, la Norwegian Business School o il Club di Roma, la loro avversione al neoliberismo si accompagna ad una conoscenza profonda della problematica globale e al senso di realtà. Così, secondo i due studiosi, le tredici proposte si mantengono entro i limiti del modello politico-economico vigente, regolato dal pensiero a breve termine ed inclinano oltre il neoliberismo, senza superarlo. Esse si rivolgono soprattutto ai paesi ricchi, dove è urgente redistribuire la ricchezza già prodotta, nell’impossibilità di incrementare ulteriormente il Pil. Mentre i paesi poveri continueranno ancora la crescita tradizionale.

Nell’intreccio tra sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale, è importante riformare il lavoro. Le prime proposte:

  1. riducono la durata dell’anno lavorativo;
  2. innalzano l’età pensionabile;
  3. ridefiniscono il ‘lavoro retribuito’;
  4. aumentano i sussidi di disoccupazione.

La riduzione dell’orario lavorativo mira a distribuire il lavoro disponibile in maniera equa. Una condivisione da preparare con lentezza, aggiungendo ogni anno pochi giorni di ferie obbligatorie, più che limitando l’orario. I redditi o la loro crescita potenziale rallenteranno ma la maggior parte delle persone preferirà il tempo libero. Mentre le aziende trasferiranno il maggior costo del lavoro, nel prezzo dei prodotti e l’ambiente beneficerà di un freno alla produzione e al consumo, accettabile socialmente. A partire dagli anni Settanta verso i primi decenni del nuovo secolo, i norvegesi hanno ridotto il loro anno lavorativo da 1800, a 1400 ore, preferendo il riposo ad un aumento salariale del 30%. In Germania, l’orario di lavoro è diminuito per cinquant’anni, da 2000 a 1600 ore, una lentezza che ha permesso di aumentare anche i salari.

In Francia, la restrizione brusca dell’orario lavorativo alle trentacinque ore settimanali è fallita. Ciò è accaduto anche perché i francesi non hanno elevato l’età pensionabile proporzionalmente alla riduzione d’orario, in modo da tutelare l’equilibrio previdenziale. Aumentare l’età della pensione sarà comunque ineludibile. Nel 1900 in media, gli europei andavano in pensione a sessantacinque anni e vivevano fino a quarantaquattro. Poi la vita media è aumentata di molti decenni, mentre l’età della pensione è rimasta sostanzialmente stabile dal 1900 al 2000.

La stessa dinamica d’invecchiamento suggerisce che lo stato retribuisca chi si prende cura dei familiari anziani. Le persone sono ormai consce di come nella vita potrebbero trovarsi a dover assistere o avere bisogno di assistenza; accetteranno la tassazione necessaria.

Un interesse pubblico simile vale per la disoccupazione. L’inclusione dei disoccupati nel consumo protegge l’economia dalle crisi, stabilizzando la domanda. Istituire sussidi di disoccupazione, inferiori agli stipendi ma sufficienti a vivere decorosamente, aiuta i lavoratori a rifiutare condizioni di sfruttamento ed orari eccessivi, rende accettabile la chiusura delle imprese non competitive o inquinanti.

In assenza di crescita, le necessità di redistribuzione e investimento, indirizzano verso una riforma saggia del sistema fiscale. Sarà opportuno tassare di più:

  1. le aziende, i ricchi;
  2. le emissioni di Co2;
  3. le successioni ereditarie;
  4. spostare il prelievo dal lavoro all’inquinamento ed all’uso delle risorse.

Lo spostamento delle tasse dal lavoro all’uso delle risorse ed all’inquinamento, si collega al concetto di esternalità. Un’esternalità è una conseguenza costosa fuori bilancio.

L’inquinamento dell’aria rappresenta un’esternalità dell’impiego dei combustibili fossili. Alcuni soggetti guadagnano bruciando i combustibili, altri pagano i sistemi sanitari perché curino le malattie respiratorie ed il conto non è leggero. Oltre l’economia, la rivista medica The Lancet ha stimato che l’inquinamento abbia causato nove milioni di morti precoci nel 2015. È tempo che la tassazione faccia pagare i costi delle esternalità dei prodotti a chi li vende; e a chi li compra. I conseguenti aumenti di prezzo spingeranno i consumatori verso articoli meno inquinanti, salati o zuccherati, responsabilizzerebbero le imprese. Parte dei costi aziendali potranno essere compensati con un’imposizione inferiore sul lavoro e su prodotti che aumentino il benessere condiviso, ad esempio il cibo sano.

La tassa sull’energia fossile è ispirata alla discussa idea di James Hansen, ex direttore del Goddard Institute for Space Studies della Nasa ed accademico americano. L’imposta colpirebbe le emissioni di Co2, versando poi gli introiti sui conti di tutti i cittadini adulti. Negli Stati Uniti, se ogni gallone (3.79 litri) di carburante venisse tassato un dollaro, ogni americano riceverebbe in media un reddito di 550 dollari annui, mentre i proprietari di automobili e Suv spenderebbero 675 dollari in più. Sempre nella media, questa tax and dividend assicurerebbe un guadagno alle coppie che si accontentassero di una sola automobile o anche di due automobili efficienti. Un dollaro al gallone rappresenterebbe un aggravio inferiore alle fluttuazioni del mercato, eppure sufficiente ad influenzare consumatori, produttori e favorire le energie rinnovabili.

Le ultime proposte richiedono l’impegno diretto di soggetti istituzionali forti anziché d’influenzare i comportamenti privati e riguardano:

  1. l’investimento verde;
  2. la regolamentazione del commercio;
  3. il reddito minimo garantito per chi non può lavorare ;
  4. il contenimento demografico;
  5. una forte sindacalizzazione dei lavoratori.

L’investimento pubblico verde è necessario. Gli stati dovranno costruire impianti per la produzione di energia rinnovabile, bonificare i terreni inquinati, programmare incentivi. Tra il 2014 e il 2024, la Cina ha investito 800 miliardi di dollari per migliorare la qualità dell’aria e delle acque. Ingegneri, operai, otto milioni di persone hanno lavorato ai progetti. Lo stato finanziò l’impegno, ispirandosi alla politica di Roosvelt e del New Deal americano, ovvero stampando moneta ed accettando le conseguenze inflattive sul risparmio cinese.

Quella di limitare il commercio internazionale è la proposta più difforme dal pensiero politico dominante. Trasferire un’acciaieria dall’Inghilterra alla Cina ha effetti opposti su stipendi e dividendi, non incentiva i cinesi a perseguire un mercato interno sano piuttosto che le esportazioni a basso costo. Scatenare tensioni sociali nei paesi sviluppati non è una maniera sostenibile di aiutare le nazioni in via di sviluppo. Le barriere doganali sono un mezzo molto efficace per ostacolare produzioni inquinanti e sfruttamento dei lavoratori, favorire i prodotti locali ed evitare le emissioni dei trasporti. Naturalmente il commercio internazionale continuerebbe ma con più equilibrio. Le frontiere rallentano crescita e consumo ma anche disoccupazione e cambiamento climatico.

In conclusione, l’attuale sistema economico provoca il riscaldamento climatico, esaurisce le riserve idriche, ittiche, forestali, la fertilità dei suoli. Capitale e lavoro si affannano per sopperire a quanto un tempo era offerto gratuitamente dalla natura, purificazione dell’aria e dell’acqua, sicurezza idrogeologica del territorio, stabilità climatica.

I costi di manutenzione e ricostruzione delle infrastrutture aumentano. La scarsità di risorse rispetto alla popolazione aggrava i conflitti. Occorrerebbe un pianeta 1,5 volte più grande della Terra per mantenere il corrente dispendio. Fortunatamente l’umanità conosce già le soluzioni tecniche per evitare che sia la natura a imporre la riduzione dell’inquinamento e del consumo specialmente ai paesi ricchi, perché milioni di persone purtroppo vivono già in una situazione di collasso. Occorre la scelta politica, il coraggio di cambiare. Le tredici proposte indicano la direzione per reinventare la prosperità nella battaglia epica sociale, ambientale e politica del XXI secolo.

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