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Home » Ambiente

“I nostri governanti non si rendono conto di quanto è grave la situazione sul clima”

Immagine di copertina
Gianni Silvestrini. Credit: Ansa

“Sono anni che lanciamo allarmi, ma i nostri governanti non si rendono conto della gravità della situazione. La Cop27? Ho aspettative basse”. Colloquio con Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club

«Siamo su un’autostrada per l’inferno climatico con il piede pigiato sull’acceleratore». La frase pronunciata lunedì scorso dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterrers, aprendo i lavori della Cop27 a Sharm el-Sheikh, dovrebbe far sbalzare dalla sedia, come in quei film apocalittici hollywoodiani in cui il presidente degli Stati Uniti annuncia al mondo l’imminente estinzione del genere umano per colpa di un asteroide. E invece quello di Guterres rischia di essere l’ennesimo avvertimento caduto nel vuoto: il giorno dopo, sulle prime pagine di quasi tutti i giornali del pianeta si parlava d’altro, mentre i leader mondiali rilasciavano le solite dichiarazioni di circostanza, per poi rituffarsi nelle loro beghe interne.

Un quadro frustrante, per gli scienziati e climatologi che da anni lanciano allarmi inascoltati. Uno di questi è Gianni Silvestrini, ex direttore generale del ministero dell’Ambiente (dal 2000 al 2002), già ricercatore del Cnr e oggi direttore scientifico del Kyoto Club, organizzazione impegnata nella riduzione delle emissioni di gas serra che riunisce associazioni, imprese, enti locali. «Per chi è nel mondo della scienza – sospira – sembra incredibile che i nostri governanti non si rendano conto che occorre un cambiamento radicale. Ciò che si sta facendo non basta, non si vede lo sforzo che sarebbe necessario di fronte alla gravità di quel che sta accadendo. La gra-vi-tà!», scandisce nel corso di una lunga chiacchierata con TPI.

«Se penso ai miei nipoti mi chiedo in che mondo vivranno nel 2050 o 2060. Ondate di calore, siccità, alluvioni. Ci saranno zone in Africa e in Asia in cui sarà difficile vivere». E in Italia? «Negli ultimi quindici anni nel Mediterraneo l’aumento della temperatura medio è stato doppio rispetto a quello registrato nella seconda metà del Novecento. Siamo in una situazione particolarmente delicata». «Ma è sufficiente guardare la tv ogni giorno, con catastrofi ambientali in ogni angolo del pianeta, per capire che il quadro generale è drammatico».

Il contesto geopolitico

Vertici come la Cop27 in corso in Egitto dovrebbero servire proprio a portare i governi a ragionare e accordarsi su come intervenire, rimediare, prevenire, scongiurare il peggio. «È vero che in questi anni sono stati presi impegni precisi, come con l’Accordo di Parigi del 2015, ma poi si fatica a tradurli in azioni concrete», fa notare Silvestrini. «Alla Cop27 c’è sul tavolo in particolare un tema molto importante: la definizione di un pacchetto di sostegno per i Paesi in via di sviluppo che sono colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici. È un traguardo che si insegue da molto tempo e che finalmente è stato messo all’ordine del giorno: vedremo cosa ne verrà fuori. Ma in generale le aspettative per la Conferenza sono abbastanza modeste. In primis per l’assenza dei leader di Cina e India, poi per il fatto che negli Stati Uniti proprio questa settimana ci sono state le elezioni di midterm, e infine c’è la guerra in Ucraina che certo non aiuta…».

Il conflitto scatenato da Putin, con le continue interruzioni delle forniture di gas dalla Russia all’Europa, ha aggravato una crisi sui prezzi dell’energia che era già partita con l’uscita dai lockdown pandemici. Nell’ultimo anno molti governi, compresi il nostro, hanno stipulato nuovi contratti per comprare gas naturale e persino riaperto le centrali a carbone. Se guarda all’orizzonte, però, Silvestrini, vede il bicchiere mezzo pieno: «È vero – premette – che si sta temporaneamente facendo ricorso al carbone e al gas, ma i prezzi altissimi dei combustibili fossili porteranno a investire di più sulle fonti rinnovabili. Nel medio-lungo termine ci sarà un’accelerazione della transizione energetica». Un esempio? «In Germania il governo di Olaf Scholz aveva fissato l’obiettivo di arrivare all’80% di energia elettrica prodotta da rinnovabili entro il 2030; dopo che è scoppiata la guerra in Ucraina, è stato introdotto nuovo target: 100% da rinnovabili entro il 2035. E anche il Portogallo ha innalzato i suoi obiettivi».

E allora, se il conflitto – malgrado tutto – si potrebbe paradossalmente rivelare un traino per la rivoluzione verde europea, la principale incognita per il futuro del pianeta è rappresentata oggi dalle politiche climatiche dei due grandi assenti alla Cop27: il presidente cinese Xi Jinping e il premier indiano Narendra Modi. «Entrambi – spiega Silvestrini – stanno portando avanti programmi di massicce installazioni di impianti a energia rinnovabile: basti pensare che la Cina solo quest’anno piazzerà pannelli per 100mila megawatt di fotovoltaico (in tutta Italia, per dare un’idea, sono installati oggi 22mila megawatt, ndr). Ma questi processi non sono privi di contraddizioni: Pechino sta anche costruendo nuove centrali a carbone e lo stesso avviene in India. Questi Paesi da un lato stanno spingendo forte sulle rinnovabili, ma dall’altro continuano a investire anche sui combustibili fossili. Non solo: la Cina, insieme alla Russia, punta a rinviare di dieci anni, dal 2050 al 2060, l’obiettivo “emissioni zero”. E l’India vuole spostarlo ancora più avanti, al 2070».

Quanto all’altra grande superpotenza mondiale, gli Stati Uniti, secondo il direttore del Kyoto Club, «non è che finora abbiano particolarmente brillato» in termini di lotta al surriscaldamento globale, ma «di recente hanno approvato l’Inflaction Reduction Act, che stanzia 369 miliardi dollari per la transizione verde: è quindi presumibile che gli Usa torneranno a correre nei prossimi anni». Anche se alla Casa Bianca dovesse tornare Donald Trump? «Bah, in realtà – chiarisce Silvestrini – Trump aveva, sì, fatto una campagna elettorale dicendo che bisognava evitare le chiusure delle centrali a carbone, ma poi durante il suo mandato ne sono state chiuse decine. E il motivo è semplice: non reggevano la concorrenza di gas e rinnovabili».

Europa verde

E veniamo così all’Europa, il continente oggi più concretamente impegnato nella lotta al cambiamento climatico. Di fronte ai rigidi target fissati da Bruxelles, solitamente l’obiezione è:  finché altri Paesi, come appunto Cina e India, continueranno a inquinare come fanno oggi, il Green New Deal europeo si rivelerà inutile, per non dire dannoso per le nostre economie. «Le cose non stanno così: il discorso è un po’ più complesso», risponde Silvestrini. «Dopo il Protocollo di Kyoto, nel 1997, l’Europa si è data obiettivi molto ambiziosi sulle rinnovabili, che hanno portato alcuni Paesi, come Germania, Spagna e Italia, a investire su solare ed eolico.

La spinta dell’Ue ha contribuito in misura decisiva ad abbassare i prezzi di questi tipi di impianti: oggi un modulo fotovoltaico costa dieci volte di meno rispetto a una decina d’anni fa. L’Europa, in altre parole, ha aperto una strada, creando un mercato, le cui ricadute hanno avuto impatto in tutto il mondo, ad esempio favorendo un’accelerazione nell’accesso all’energia elettrica anche in Africa, ma anche “tirandosi dietro” il mondo della finanza».

«Quella delle rinnovabili – continua il direttore del Kyoto Club – ormai è una valanga: il mercato viaggia in quella direzione. Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, quest’anno le emissioni mondiali di anidride carbonica aumenteranno di 330 milioni di tonnellate, ma sarebbero cresciute di un miliardo senza il contributo delle rinnovabili e della mobilità elettrica. Solare, eolico e idroelettrico non riescono ancora a evitare che le emissioni aumentino, siamo ancora molto indietro, però cominciano a mordere, a dare dei risultati.

Nei prossimi dieci anni ci sarà una transizione rapidissima», secondo Silvestrini. E se l’Ue è l’alfiere mondiale delle rinnovabili, «sul fronte dei trasporti l’outsider è la Cina, che ha puntato sull’elettrico sia perché doveva fare qualcosa contro l’inquinamento nelle sue città sia perché sulle auto a combustione interna non poteva competere con i player occidentali. L’Europa, peraltro, sta recuperando terreno: con il divieto di vendere auto termiche a partire dal 2035 ha di fatto costretto le case automobilistiche a investire decine di miliardi nell’elettrificazione»

Resistenze italiane

Eppure l’ex ministro italiano della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, aveva detto che quel divieto avrebbe comportato «un bagno di sangue» occupazionale. «Quelle dichiarazioni me le sarei potute aspettare da un ministro dell’Industria…», chiosa Silvestrini. «La transizione ecologica è una straordinaria opportunità anche in termini occupazionali e reindustrializzazione: penso all’installazione degli impianti rinnovabili, alle fabbriche di batterie, ma anche alla filiera del recupero e riciclo che si potrebbe venire a creare». «Cingolani non mi è sembrato che si sia seriamente preoccupato della transizione energetica: ha fatto alcuni decreti di semplificazione burocratica che sono stati utili, ma ha badato più all’approvvigionamento di nuovo gas in sostituzione di quello russo, anziché al potenziamento delle rinnovabili».

In termini di impianti green «in Italia siamo ancora fermi al 2014: da otto anni la quota di elettricità prodotta con rinnovabili è ferma al 38%». Dopo lo scatto avvenuto tra 2010 e 2011, sospinto da generosi incentivi statali, il settore si è arenato: colpa della burocrazia e delle sovrintendenze che bloccano i progetti. «Ma, grazie anche all’ecobonus, stiamo recuperando», dice Silvestrini. «Nei primi nove mesi di quest’anno sono stati installati 1,6 gigawatt, il triplo dell’anno scorso. Nel 2023-24 mi aspetto un boom: ci sono 24mila megawatt di progetti fotovoltaici in attesa di essere autorizzati».

E il nuovo governo? «Il ministro dell’Ambiente, Pichetto Fratin, non lo conosco. Ma mi faccia dire una cosa sull’intervento della nostra premier alla Cop27: Meloni ha detto che vuole fare del Mezzogiorno l’Hub europeo delle rinnovabili. Ebbene, può sembrare una dichiarazione ingenua, ma quando raggiungeremo il 72% di elettricità prodotta da rinnovabili (nel 2030, secondo la tabella di marcia dell’Italia, ndr) bisognerà davvero pensare a scambi internazionali fra i Paesi europei, di modo che, ad esempio, quando nel Nord Europa ci sarà molto vento si potrà spedire l’elettricità prodotta con eolico al Sud, e, viceversa, quando al Sud ci sarà molto sole si potrà inviare al Nord l’energia derivante dal fotovoltaico. Se è questo che intendeva Meloni, be’, a me sembra un discorso ragionevole».

Intanto, però, nel programma di governo del centrodestra si parla anche del ricorso al nucleare. «Il nucleare tradizionale è ormai superato», fa notare Silvestrini. «Negli ultimi dieci anni tutti i progetti di costruzione di nuove centrali, dalla Francia alla Finlandia, dal Regno Unito alla Georgia, si sono rivelati fallimenti clamorosi». «Adesso, semmai, si sta facendo ricerca sui cosiddetti mini-reattori. Come la vedo?

I risultati di queste ricerche li avremo verso la fine del decennio: vedremo se saranno effettivamente “puliti” e che costo avranno… Tuttavia, se anche alla fine del decennio si dimostrasse che questa tecnologia è fattibile, poi bisognerà cercare i siti dove installare i reattori e poi effettivamente installarli: nel frattempo saremo arrivati al 2040. Insomma, “too costly e too late”».

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