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Home » Ambiente

La transizione ecologica? Dipende da quanto le aziende italiane sapranno digitalizzarsi

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Daniele Lombardo, Direttore Marketing, Institutional Relations and Communication del Gruppo TeamSystem.

I sorprendenti risultati di uno studio sulle Pmi del Politecnico di Milano in collaborazione con TeamSystem

Le aziende che investono sul digitale sono anche quelle più virtuose rispetto ai temi ambientali. Lo dimostra molto chiaramente una ricerca condotta dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi del Politecnico di Milano su 521 realtà imprenditoriali piccole e medie. Lo studio è stato condotto in collaborazione con TeamSystem, l’azienda italiana leader nel mercato delle soluzioni digitali per la gestione del business di imprese e professionisti. Ne parliamo con Daniele Lombardo, Direttore Marketing, Institutional Relations and Communication del Gruppo TeamSystem.

 

Per la ripartenza dopo la pandemia l’Europa ha puntato tutto sulla transizione tecnologica e su quella ecologica. Due temi sorprendentemente molto correlati, secondo la ricerca.

L’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi mette in evidenza un legame positivo tra maturità digitale e sensibilità ai temi ambientali delle piccole e medie imprese italiane: quelle più propense a investire nel digitale sono anche più attente alla sostenibilità. I dati ci dicono che a un incremento del 10% nell’indice di maturità digitale di un’azienda è associato un incremento del 6-7,9% nell’indice di sostenibilità. Non solo. Dalla ricerca emergono differenze importanti a seconda del tipo di impresa: le Pmiprocess-oriented, cioè quelle che hanno rivolto i primi sforzi verso il cambiamento digitale, riportano un indice di sostenibilità superiore del 23,8% delle digitally immature, mentre quelle considerate digitally mature – quindi con un elevato grado di maturità digitale – riportano un indice di sostenibilità superiore del 51,3% delle committed, cioè le aziende pronte a diventare pienamente mature.

Numeri che non lasciano spazio a dubbi.

È un fatto: la sostenibilità dipende anche dalla digitalizzazione. Ci troviamo tutti di fronte a una sfida di portata storica e non sono più rimandabili strategie di ampio respiro che mirino a conciliare la sostenibilità ambientale con l’innovazione, seguendo peraltro quelle che sono le due principali linee-guida del Next Generation Eu. Trasformazione digitale e rispetto per l’ambiente devono essere affrontati da tutti gli attori con un approccio univoco e sinergico, poiché per far sì che la società in futuro si possa poggiare su solide basi di sviluppo e di prosperità, il digitale dovrà essere sempre più alleato della sostenibilità e viceversa.

L’Italia però sulla digitalizzazione è in affanno. Come siamo messi nello scacchiere europeo?

Oggi l’Italia è il fanalino di coda nella classifica di digitalizzazione delle Pmi: secondo la ricerca, solo il 34% del campione è digitally mature,mentre appena l’11% ha costruito una cultura e un’organizzazione aziendali votate all’innovazione digitale ed è quindi pronta a diventata pienamente matura, il 32% ha rivolto gli sforzi verso la digitalizzazione di base dei processi core e di supporto, ma è meno pronta culturalmente e meno interessata alle tecnologie di frontiera, e il 23% è ancora digitally immature, cioè carente dal punto di vista dell’innovazione digitale su tutte le aree. Dalla ricerca è emerso che, mediamente, nei Paesi europei, un aumento del 25% dell’indice di digitalizzazione delle Pmi è associato a un aumento medio del Pil nazionale tra lo 0,8% e l’1,8% all’anno. In particolare, un aumento del 25% della maturità digitale delle sole Pmi porterebbe in ciascun Paese un beneficio medio dello 0,5-1,1%.Un quadro in evoluzione, dopo la crisi causata dal Covid, e ancora troppo incompleto, soprattutto a fronte dei benefici che potrebbe trarre da un miglioramento deciso: dall’Osservatorio emerge che per una Pmi passare dall’essere digitally immature a un profilo digitalmente più avanzato, porta a +14,8% nella produttività. Ma per favorire la rapidità di cambio passole Pmi vanno accompagnate in questo percorso di crescita sia a livello di dirigenti e quadri, che a quello degli impiegati.

Alla fine del 2019 si intravedevano alcuni trend positivi nella digitalizzazione delle Pmi. La grande crisi pandemica almeno dal punto di vista tecnologico ha lasciato tracce positive?

Nel picco dell’emergenza sanitaria il digitale si è rivelato immediatamente una risorsa fondamentale per le aziende che, grazie anche alla capacità di adattamento degli imprenditori, hanno continuato a organizzarsi, pianificare, collaborare, in una parola a fare impresa. È innegabile che la maggior parte delle imprese italiane abbiano accelerato – proprio a causa della pandemia – i propri programmi di digitalizzazione, consci che il digitale sia l’unica strada per riprendere a crescere in modo sostenibile e rimanere competitivi anche nella fase post Covid-19. Bisogna proseguire in questa direzione: digitalizzare le Pmi italiane, con un programma concreto e non timido, può dare un contributo fondamentale alla ripartenza dell’Italia. In questo modo il drammatico periodo che abbiamo attraversato potrà rappresentare davvero un momento di svolta, in cui abbiamo saputo ripensarci e reinventarci.

 

Quali investimenti secondo lei, a livello paese, garantirebbero i maggiori benefici in termini di digitalizzazione delle Pmi?

Bisogna accelerare sulla trasformazione digitale a livello di sistema, perché il digitale non si fa da soli, il digitale esiste se è la lingua “comune” parlata da tutta la catena del valore. La digitalizzazione delle piccole e medie imprese, quindi, contribuirà veramente alla crescita del paese, se le aziende potranno operare in un intero ecosistema digitalizzato, che coinvolge anche la pubblica amministrazione. Ci aspettiamo che i progetti digitali e la digitalizzazione di sistema, spinta anche dai fondi del Next Generation Eu, contribuiscano a portare l’Italia su un sentiero di crescita sostenibile.

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