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Cambiamento climatico: il tempo per salvare il pianeta si è ridotto a 18 mesi

An old can of meat found on the Mer de Glace glacier after the melting of ice is pictured in Chamonix on June 18, 2019. (Photo by MARCO BERTORELLO / AFP)
Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 25 Lug. 2019 alle 12:14 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 03:09

Abbiamo 18 mesi per fermare il cambiamento climatico

Dodici anni per salvare il pianeta. Questo era il tempo massimo che si era calcolato per tentare di invertire la rotta e fermare il cambiamento climatico. Ora sembra che anche questa previsione debba essere rivista al ribasso.

Il tempo decisivo per la nostra salvezza potrebbe essere tutto racchiuso nei prossimi 18 mesi. A dirlo sono alcuni tra i migliori scienziati climatici al mondo: “La matematica del clima è brutalmente chiara: sebbene il mondo non possa essere guarito nei prossimi anni, potrebbe essere fatalmente ferito dai nostri comportamenti negligenti già entro il 2020”, ha dichiarato Hans Joachim Schellnhuber, fondatore e ora direttore emerito del Potsdam Climate Institute.

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L’anno scorso, il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) ha riferito che per mantenere l’aumento delle temperature globali al di sotto di 1,5 ° C in questo secolo, le emissioni di anidride carbonica dovrebbero essere ridotte del 45% entro il 2030.

Ma oggi, gli osservatori riconoscono che i passi decisivi e politici per consentire i tagli al carbonio dovranno avvenire entro la fine del prossimo anno.

La sensazione che la fine del prossimo anno sia l’ultima chance per i cambiamenti climatici sta diventando sempre più chiara.

“Sono fermamente convinto che i prossimi 18 mesi saranno fondamentali per mantere i cambiamenti climatici a livelli di sopravvivenza e per ripristinare l’equilibrio della natura”, ha dichiarato il principe Carlo, intervenendo a un ricevimento dei ministri degli esteri del Commonwealth. Anche il principe conferma: abbiamo 18 mesi per fermare il cambiamento climatico.

I 18 mesi per fermare il cambiamento climatico: l’accordo di Parigi

Da quando è stato firmato l’accordo globale sul clima di Parigi, nel dicembre 2015, i paesi firmatari hanno tanto discusso sui termini del regolamento. I paesi hanno anche promesso di migliorare i loro piani di riduzione del carbonio entro la fine del prossimo anno.

I piani attuali non sono abbastanza forti per mantenere le temperature al di sotto del cosiddetto limite di sicurezza. In questo momento, ci stiamo dirigendo verso 3 ° C di riscaldamento entro il 2100 e non 1,5.

Poiché i paesi di solito definiscono i loro piani per un periodo di cinque e dieci anni, se l’obiettivo del 45% di riduzione delle emissioni di carbonio entro il 2030 deve essere raggiunto, i piani devono essere stesi entro e non oltre la fine del 2020.

Il vertice sul clima e le emissioni di CO2

Il primo grande ostacolo sarà lo speciale vertice sul clima convocato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che si terrà a New York il 23 settembre.

Guterres è stato chiaro: vuole che i paesi si presentino solo se possono fare offerte significative per migliorare i loro piani nazionali di riduzione del carbonio.

A tale incontro seguirà quello di Santiago, in Cile, dove il risultato più importante sarà probabilmente quello di portare avanti il ​​processo.

Ma il momento davvero fondamentale sarà probabilmente nel Regno Unito alla COP26, che si svolgerà alla fine del 2020.

Il governo del Regno Unito ritiene di poter sfruttare l’opportunità della COP26, in un mondo post-Brexit, per dimostrare che la Gran Bretagna può costruire la volontà politica per il progresso.

Se alcuni paesi, come il Regno Unito, si sono dati obiettivi importanti – il paese ha infatti legiferato per raggiungere le emissioni nette pari a zero entro il 2050 – altri, come l’Italia non sono riusciti a fissare questo imperativo.

L’obiettivo comune è quello di impedire l’aumento della temperatura oltre i 2 gradi centigradi in più rispetto agli anni ’90, considerato il punto limite oltre il quale si avranno effetti catastrofici sull’ambiente mondiale, così come previsto dall’accordo sul clima di Parigi.

Il documento è stato firmato da Francia, Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Portogallo, Paesi Bassi, Spagna e Svezia.

L’Italia, insieme alla Germania, ha scelto di non accodarsi all’appello.

La velocità del riscaldamento globale

Il riscaldamento globale sta avanzando a una velocità che non trova eguali negli ultimi 2000 anni ed è così esteso da riguardare il 98% del pianeta. Lo indicano due ricerche pubblicate sulle riviste Nature e Nature Geoscience e coordinate entrambe da Raphael Neukom, dell’Università svizzera di Berna. Tutte e due si basano sui dati relativi all’andamento del clima dall’epoca dell’Impero Romano fino alla fine del ventesimo secolo.

Nel ricostruire 2000 anni di storia del clima i ricercatori hanno utilizzato 700 indicatori, come gli anelli di accrescimento degli alberi e i dati relativi all’analisi delle carote di ghiaccio e dei sedimenti marini e lacustri. E’ emerso così, per esempio, che la Piccola era glaciale che si è verificata tra il XVI e il XIX secolo aveva toccato solo il 12% del pianeta, con picchi diversi fra le varie regioni. Si è visto inoltre che l’anomalia climatica medievale, un periodo caldo che si è verificato tra il 950 e il 1250, ha riguardato il 40% del pianeta.

Cifre che non hanno eguali con quelle del riscaldamento climatico attuale, che riguarda il 98% della superficie del pianeta. I dati indicano inoltre un crescendo nelle temperature fino alla fine del ventesimo secolo, ossia fino al periodo in cui si ferma la loro analisi.

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