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    Camici per medici forniti da ditta della moglie di Fontana: Procura indaga per turbativa d’asta

    Credit: Ansa

    Mentre la Commissione d'Inchiesta fortemente voluta dal PD rimane impantanata per il veto della destra su Scandella, la Procura di Milano ha individuato l'ipotesi di reato, ma l'inchiesta rimane a carico di ignoti

    Di Lorenzo Zacchetti
    Pubblicato il 4 Lug. 2020 alle 10:52 Aggiornato il 4 Lug. 2020 alle 11:06

    Fornitura dei camici, la Procura indaga per turbativa d’asta

    Il 7 giugno era esploso il “camici-gate”: si tratta del caso, scoperto da Report e anticipato da Il Fatto Quotidiano relativo alla fornitura di materiale medico per un valore di 513mila euro da parte della Dama SpA, azienda controllata da Andrea Dini e da sua sorella Roberta, moglie di Fontana. Gli interessati sostengono che si sia trattato di una donazione e che la fattura inizialmente emessa (peraltro stornata prima del saldo) sia frutto di un equivoco. Per fare luce su quello che è senza dubbio un pasticcio, la Procura di Milano subito dopo la trasmissione del servizio aveva aperto un fascicolo “a modello 45”, ovvero senza ipotizzare un reato. Ora, invece, si sta indagando per turbativa d’asta, anche a seguito di un esposto del Codacons: il reato è stato individuato, mentre l’inchiesta rimane a carico di ignoti.

    Un nuovo capitolo di una storia ricca di colpi di scena, sulla quale l’interesse di tutti dovrebbe essere un rapido accertamento delle presunte responsabilità. La politica, ancora una volta, si sta dimostrando incapace di farlo e questa non è certo una buona notizia. Auguriamoci davvero che la magistratura sia più efficiente e più rapida.

    Regione Lombardia: la Commissione d’inchiesta rimane nel limbo

    Tra i numerosi pasticci che hanno caratterizzato la gestione dell’emergenza-Covid-19 da parte della Regione Lombardia, spicca la questione relativa alla Commissione d’Inchiesta, fortemente voluta dal PD. Riepiloghiamo i fatti. I Dem nel pieno della crisi presentano una mozione di sfiducia (tecnicamente non lo è, ma nella sostanza sì) contro l’assessore al Welfare Giulio Gallera e contro i dirigenti che guidano il suo settore. La maggioranza la respinge, non senza polemiche. Pietro Bussolati, uno dei più agguerriti membri del PD, nota che alcune schede vengono rese riconoscibili: un trucco vecchio, ma sempre valido, per garantire la compattezza della maggioranza ed evitare franchi tiratori, visto che le votazioni sulle persone avvengono a scrutinio segreto. Con questo sistema, tuttavia, ogni gruppo in pratica dà prova del suo appoggio alla causa. Ne scriviamo come di un fatto acclarato perché la segnalazione di Bussolati è stata confermata dal verbalizzante, che ha appunto messo la cosa nero su bianco.

    Non solo. Nella conta dei voti contro Gallera, mancano alcuni esponenti dell’opposizione. Il casus belli è Patrizia Baffi, eletta con il PD e poi passata a Italia Viva. Notoriamente ha buoni rapporti sia con Gallera che con Fontana (e questo non è certo censurabile, ci mancherebbe altro), ma politicamente è molto significativo che decida di non sostenere la sfiducia. Alla fine, Gallera si salva e l’unico a venire rimosso è il direttore generale Welfare, Luigi Cajazzo, che però casca in piedi, venendo promosso vicesegretario regionale. Al suo posto arriva Luigi Trivelli, dirigente di lungo corso formigoniano. Tutto questo, in ogni caso, avviene ben dopo la mozione del PD e per scelta autonoma della maggioranza.

    La sera stessa dello spoglio delle schede, invece, la Lega se la prende non poco per le polemiche scatenate da Bussolati e Carmela Rozza sulle schede segnate e, seppure informalmente, preannuncia che non concederà mai la presidenza della Commissione d’Inchiesta a un esponente del PD. Già in quelle ore inizia a circolare l’ipotesi-Baffi, che abita a Codogno (primo focolaio italiano) e oltretutto lavora in una RSA.

    La Commissione, richiesta dagli stessi Dem, dovrebbe essere presieduta da un membro dell’opposizione, come previsto sia dallo statuto che dalle buone prassi istituzionali. Il centrosinistra è compatto su Jacopo Scandella, consigliere Dem, ma la Lega alza il muro e nella prima seduta dell’11 maggio fa mancare il quorum per la sua elezione. Nella seconda fa il bis e nella terza i voti della destra convergono proprio su Baffi, che diventa presidente facendo infuriare Bussolati, il quale non ha remore nell’ipotizzare uno scambio di favori tra questa elezione e il mancato voto parlamentare di Italia Viva sulla richiesta di processo a Matteo Salvini per il caso-Open Arms.

    La presidenza Baffi, tuttavia, dura appena tre giorni. Dopo il ritiro dalla commissione dei membri dei partiti di opposizione, all’esponente renziana non resta che fare un passo indietro. Si ricomincia da capo, quindi, e il PD ripropone Scandella, che questa volta gode dell’appoggio totale di tutte le forze di opposizione, Baffi compresa: “Se verrò eletto, proporrò che le prime tre sedute si tengano non nella sede del Pirellone ma ad Alzano, Codogno e Nembro, introdotte dai Sindaci e aperte alla partecipazione dei cittadini”, annuncia l’esponente Dem.

    Ma la Lega non cede e mantiene il veto su Scandella e anche il 29 giugno quella che sarebbe dovuta essere la settima seduta operativa della commissione di inchiesta finisce in nulla. Un limbo che suggerisce al PD due ipotesi politiche: o provare a spaccare l’asse Lega/Forza Italia (secondo il capogruppo Fabio Pizzul i forzisti non condividono la linea leghista), oppure virare su Michele Usuelli di +Europa, neonatologo che ha lavorato con Emergency.

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