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    Bignami, viceministro Infrastrutture: “La foto in divisa nazista? Grave ma non mi rappresenta”

    Di Marco Nepi
    Pubblicato il 2 Nov. 2022 alle 11:37 Aggiornato il 2 Nov. 2022 alle 11:39

    Bignami, viceministro Infrastrutture: “La foto in divisa nazista? Grave ma non mi rappresenta”

    “Non spiega nulla di me, non mi rappresenta”. Il nuovo viceministro delle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, tenta di distanziarsi dalla celebre foto che lo mostra travestito da gerarca nazista. Uno scatto tornato alla ribalta anche sulla stampa internazionale dopo la sua nomina a numero due del dicastero guidato da Matteo Salvini. “È molto grave. E infatti sento una profonda umiliazione”, ha detto il deputato di Fratelli d’Italia a La Repubblica, ricordando che la foto risale al 2005. “Avevo 29 anni ed era il mio addio al celibato. Mi conciarono così, sa come va in quei casi, uno perde il controllo della situazione”, ha aggiunto, prima di riconoscere che all’epoca era già stato eletto consigliere comunale di Bologna. “Fu una enorme cazzata, l’ho detto altre volte. Mi sono scusato, eppure quella foto torna sempre fuori”. “Non ne sminuisco nemmeno la gravità”, ha detto Bignami, che in passato aveva parlato di una “goliardata tra amici”.

    “Sono in difficoltà umana. In tutta la mia attività politica e istituzionale ho sempre espresso vicinanza, stima, sostegno al popolo ebraico e ad Israele. Consegnare di me una rappresentazione grottesca, denigratoria, vergognosa è solo frutto di una strumentalizzazione politica che non accetto”

    Figlio di un esponente del Movimento sociale italiano, Bignami è deputato di FdI dal 2018, dopo aver trascorso un periodo in Forza Italia. In questa legislatura, è stato il primo firmatario di una proposta per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla “gestione dell’emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus Sars-CoV-2 e sul mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale”. Nel 2019 aveva fatto discutere un suo video in cui leggeva i nomi dei citofoni delle case popolari di Bologna per denunciare la presenza di inquilini stranieri, che abitavano regolarmente negli appartamenti. Una trovata che ricorda quella di Salvini l’anno successivo, sempre a Bologna.

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