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    Chiamiamoli per ciò che sono: gli assassini di Willy sono neofascisti

    Di Olimpia Troili
    Pubblicato il 8 Set. 2020 alle 17:52

    Un’immagine a volte vale più di mille parole. L’estetica dei killer del giovane eroe Willy Monteiro Duarte non lascia dubbi. Basta osservarne il complesso della fisicità, dall’arroganza nello sguardo e alla plasticità della postura artificiosa, costruita, ipertrofica per comprendere quanto quel culto della mascolinità tossica a cui aderivano abbia plasmato non solo i loro corpi ma il loro approccio alla vita, il loro sguardo sul mondo. A un occhio attento non sfugge quella smania di riconoscimento, quel disperato bisogno d’identificazione che, divenuto disagio soggettivo figlio di una condizione sociale che abbandona l’individuo a una crescente alienazione, solitudine e modelli negativi, come scrive Giulio Gambino su TPI, li ha portati a far proprio il motto “Dio Patria e Famiglia” o frasi come “Proteggi la famiglia”.

    Il nucleo familiare di cui fanno parte i due fratelli Bianchi, evidentemente disfunzionale, come mostrano le dichiarazioni ascoltate fuori dal Commissariato dopo l’arresto, deve aver giocato un ruolo fondamentale nella genesi e nella copertura di quel comportamento da bulli che hanno assunto i due ragazzi terrorizzando per anni i luoghi limitrofi al Comune di Artena. Non solo culto della violenza, uso di stupefacenti e spaccio corredato da simpatie neofasciste ma anche dispregio per le donne, razzismo e arroganza. L’arroganza che pensa di poter mettere tutto a tacere con l’uso della forza, con il metodo della coercizione e della paura indefessa.

    Tornando a quel tatuaggio pigmentato sulla pancia di uno dei due fratelli “Proteggi la famiglia,” possiamo supporre che i componenti della banda pensassero di farlo nel momento in cui “corcavano” di botte Willy, come dimostra l’autopsia, che rende ridicola la difesa dei due fratelli Bianchi, che durante il primo interrogatorio avrebbero detto di aver solo “sbracciato” per sedare una rissa e non si sarebbero accorti che il ragazzo era a terra. Colpevole, secondo le prime ricostruzioni, di voler sedare una rissa proteggendo un amico. Gesto eroico pagato a caro prezzo.

    Davanti a gente le cui parole di fronte all’assurda tragedia sono “Era solo un immigrato. Non hanno fatto niente di male” occorre una riflessione profonda. Quale famiglia volevano proteggere i bulli?

    Ho paura che la motivazione a sfondo razziale non sia estranea alla vicenda. Nonostante, a quanto risulta al momento, non sia contestata dagli inquirenti l’aggravante razziale. Ho paura che questi ragazzi, imbevuti di serie televisive e fiction che inneggiano alla violenza, considerassero la loro famiglia allargata quella del maschio alfa bianco sulla scorta della retorica di quelle destre deteriori che stanno spargendo nel mondo violenza, terrore e ingiustizia. Idee antitetiche al concetto di uguaglianza, diritti umani, pari opportunità e democrazia. Idee pericolose e subdole che si insinuano nell’inconscio collettivo anche in Italia. Un’Italia non è immune a virus come razzismo e neofascismo.

    La domanda che sorge spontanea è allora: perché tali personaggi non sono stati bloccati prima che gli istinti bestiali sfociassero in tragedia? Probabilmente perché in un Paese in cui non si vuole prendere coscienza di certe cose, si sottovaluta sistematicamente il pericolo. Vittima di questa sottovalutazione, oltre che della cieca furia omicida dei killer, è stato questa volta il ventunenne Willy Monterio Duarte, ragazzo dal cuore d’oro, come racconta chi lo conosceva, e dallo sguardo pieno di dolcezza mentre sorride sognando di diventare cuoco e giocare a pallone per una grande squadra di calcio.

    Leggi anche: 1. Il vuoto politico e sociale produce i mostri inumani di Colleferro (di G. Gambino) / 2. Se a uccidere un bianco fossero stati 4 neri sarebbe scoppiato il finimondo (di G. Cavalli)

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