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    La sardina Ogongo non ha aperto a CasaPound, ma al potere salvifico della piazza. Anche per un neofascista

    Stephen Ogongo e, a destra, le sardine in piazza
    Di Luca Serafini
    Pubblicato il 11 Dic. 2019 alle 11:01 Aggiornato il 11 Dic. 2019 alle 11:02

    Un fascista abbandonato in mezzo ai fascisti diventerà sempre più fascista. C’era forse questa genuina preoccupazione alla base della dichiarazione di Stephen Ogongo, tra i leader delle sardine di Roma, che ieri ha provocato la prima vera crisi all’interno del movimento nato un mese fa in Emilia-Romagna.

    “[I paletti] li metteremo se, e quando, ci daremo un’identità politica. Per ora è ammesso chiunque, pure uno di CasaPound va benissimo. Basta che in piazza scenda come Sardina”. Parole che, date in pasto al tritacarne social, non potevano che scatenare un putiferio.

    Ogongo, da buona sardina, doveva aspettarselo. Le sardine nascono, anche, come movimento che si pone l’obiettivo di “depurare” il linguaggio pubblico dalle semplificazioni binarie che proprio l’universo social alimenta quotidianamente, e di cui facilmente si diventa vittime.

    Quello su cui forse si ragiona troppo poco, però, è che l’antifascismo e la lotta alle semplificazioni binarie da social sono due espressioni della stessa battaglia. Ed è in fondo questa la ricchezza, purtroppo andatasi a smarrire, di quella dichiarazione di Ogongo.

    Il leader romano delle sardine non stava aprendo a CasaPound come movimento, non stava dando legittimazione ai fascisti del terzo millennio, non proponeva nessuna contaminazione horror tra estremi che mai potranno toccarsi.

    Esaltava semplicemente il potere salvifico della piazza, quella in cui un fascista cresciuto tra fascisti ma incuriosito dalle idee di un movimento dirompente può affacciarsi, ascoltare e, chi può dirlo, magari anche cambiare idea.

    Non è certo quello che farà Simone Di Stefano, non è l’approccio che animerebbe nessun dirigente di CasaPound, la cui eventuale presenza in piazza si configurerebbe come mera speculazione politica.

    Ma per un ragazzino della periferia romana iscrittosi a CasaPound sulla scia di un disagio (sociale, economico o esistenziale che sia) e diventato per questo facile preda degli estremisti e delle loro ideologie, un ragazzino che nella sua vita ha sentito chi lo circonda parlargli solo di fascismo, l’incontro con un popolo diverso, l’ascolto di ragionamenti diversi, può rappresentare una ricchezza enorme.

    Nel film “American History X” il neonazista americano Derek Vinyard, interpretato da Edward Norton, è esattamente quel prototipo di sbandato di quartiere, cresciuto nel branco di teste rasate, indottrinato da un sedicente guru hitleriano che lucra sul disagio giovanile per forgiare bande di esaltati xenofobi.

    Il percorso di redenzione di Vinyard ha inizio quando, incarcerato per aver ucciso brutalmente due neri che volevano rubargli la macchina, condivide la cella con un afroamericano. È il contatto, l’incontro con la diversità, l’uscita dalla tribù (che, paradossalmente, avviene proprio in carcere) a innescare un reale processo di cambiamento.

    È giusto vietare la piazza ai movimenti anti-democratici, di chiara ispirazione fascista, ma sarebbe sbagliato chiuderla a singole persone che oggi si identificano in quei valori ma che domani, messi di fronte a un’alternativa che gli venga spiegata (e che venga anche “vissuta” nel calore e nei colori di una piazza) potrebbero tranquillamente cambiare idea.

    È in fondo l’essenza stessa della democrazia: l’apertura dello spazio pubblico al dialogo, la formazione e il mutamento delle proprie opinioni sulla base del confronto e dell’ascolto.

    E forse la piazza “riflessiva” delle sardine, quella che si riempie per qualcosa molto più che contro qualcuno, quella che nasce come spazio aperto di discussione, che non odia nessuno e che rifugge le semplificazioni del populismo, è il posto migliore in cui tutto questo possa avvenire.

    L’humus dell’estremismo è la contrapposizione tra tribù, che spinge alla radicalizzazione sempre più estrema, alla chiusura ultra-identitaria. Le sardine nascono per andare oltre le divisioni binarie, sui social e fuori dai social.

    Anche questo è antifascismo, perché è il modo in fondo più efficace per erodere il neofascismo dalle fondamenta, per bruciargli il terreno sotto ai piedi.

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