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    Il curioso caso di Renzi e Calenda: sono fuori dal Pd, ma pretendono di mettere bocca sulle candidature dei dem

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 7 Dic. 2021 alle 08:33 Aggiornato il 7 Dic. 2021 alle 08:38

    Conte dice di no: rinuncia a correre per Montecitorio, e alla fine sembra davvero che la polemica di un giorno finisca così: molto rumore per nulla.

    Quindi ricapitolando: dopo alcune indiscrezioni sull’ipotesi di una discesa in campo dell’ex premier nelle elezioni suppletive nel collegio di Roma uno (lasciato libero da Roberto Gualtieri) Matteo Renzi e Carlo Calenda erano già scesi in campo a fare le barricate contro il leader del Movimento Cinque Stelle. Ma il piccolo dettaglio è che Conte non si era (e non si è) candidato. Viene da dire: peccato, vista la brutta figura dei suoi concorrenti guastatori.

    Se c’è una morale straordinaria in questa breve vicenda, infatti, è il disvelamento della protervia. Ad esempio quella di Calenda, che basava la presunta legittimità del suo veto sulla frase “Quel collegio è mio perché alle municipali lí sono arrivato primo con la mia lista”. E poi quella di Renzi, che già ipotizzava di correre lui stesso, contro il centrosinistra giallorosso, solo per danneggiare la coazione di cui non vuole fare parte.

    Il che – come minimo – dovrebbe essere un ragionamento da non fare, sopratutto se si ha un partito che nei sondaggi oscilla fra il 3% e il 4%. Perché vorrebbe dire che in una eventuale coalizione allargata, seguendo questa stessa logica, non ti dovrebbero dare nemmeno un seggio (perché non sei primo da nessun’altra parte).

    Ma ancora più interessante è la posizione di Matteo duepercento Renzi: alle amministrative era quasi ovunque contro il Pd. Alle regionali tuonava che in Puglia il suo obiettivo era “far perdere Emiliano” (ovvero il candidato del Pd). In parlamento, da tre mesi i suoi parlamentari votano sempre con la destra cioè contro il Pd). Per quale recondido motivo il Pd dovrebbe privilegiare, rispetto al suo migliore alleato, uno scissionista che flirta con Lega e Forza Italia è davvero un mistero.

    Lo stesso ragionamento vale a maggior ragione per Calenda, che pur essendo molto simpatico, da anni dice e ripete che lui, in una coalizione in cui ci sono i Cinque Stelle non ci vuole stare. Ma allora perché mai il Pd dovrebbe parlare di candidature con lui e Renzi, e non con i suoi alleati? Perché dovresti privilegiare chi non vuole sfere con te, rispetto a chi vuole stare con te? Altro mistero.

    Dal canto suo, invece, Giuseppe Conte ha questi incredibili torti, agli occhi dei due litigiosi partitini centristi: è un alleato leale del Pd, e nelle ultime due elezioni suppletive, mentre Renzi e Calenda organizzavano altri progetti, ha sostenuto, senza avere nulla in cambio, due candidati dem: il segretario nazionale, Enrico Letta (a Siena), e il segretario romano Andrea Casu (a Primavalle). È del tutto logico, dunque, in una dinamica di coalizione, che il Partito democratico offra il seggio a Conte, per portarlo in Parlamento, esattamente come è accaduto per il suo leader solo pochi giorni fa.

    Renzi e Calenda, invece, hanno questa singolare attitudine: non vogliono partecipare al matrimonio giallorosso (almeno per ora), dicono e ripetono che quel matrimonio è un errore, ma vogliono mettere bocca nelle candidature di quella coalizione.

    Sarebbe come se durante una solenne cerimonia di nozze qualcuno gridasse la fatidica frase “Questo matrimonio non s’ha da fare”. E poi, dopo aver rovinato la cerimonia, pretendesse anche di andarsene dalla chiesa portandosi dietro sia la dote che il corredo, che gli anelli degli sposi.

    A onor del vero va ricordato che lo stesso trattamento, questa estate, i signori dello zerovirgola provarono a farlo anche a Letta, ponendo, dall’alto della loro forza, un veto alla sua candidatura alla guida del centrosinistra a Siena, con una lunga polemica di cui resta traccia in un tragicomico e memorabile titolo di La Repubblica di quei giorni: “Renzi prova a mediare tra Italia Viva e il Pd sul seggio di Letta”. Evidentemente Renzi doveva essere impegnato a mediare con se stesso, facendo il gioco del ventriloquo con il proprio partito.

    Sta di fatto che il leader del Pd, dopo tutti questi tira e molla renziani, come è noto, decise di candidarsi lo stesso, evitando veti e condizioni: in una città in cui il centrodestra aveva battuto la sinistra alle comunali. Letta ha poi vinto il collegio di Siena in quelle elezioni suppletive, e per giunta con ben dieci punti di distacco sul suo avversario di centrodestra. Forse le polemiche di Renzi alla vigilia gli hanno persino portato qualche voto in più.

    Il che dispiace perché, probabilmente, avendo contro sia Renzi che Calenda, forse Conte poteva sperare di stabilire un record anche lui, e vincere (nel collegio Roma uno) di almeno venti punti.

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