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    La destra non applaude una donna passata dai lager. Chiamatelo col suo nome: fascismo

    Liliana Segre
    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 31 Ott. 2019 alle 13:00 Aggiornato il 31 Ott. 2019 alle 13:19

    La vigliaccheria dell’anti-antifascismo (lo chiamano coì perché si vergognano anche loro di chiamarlo per nome, per il fascismo o il parafascismo che è) ieri nell’aula del Senato italiani ha indossato le vesti dell’inazione: 98 senatori che hanno coraggiosamente deciso di imboccare la strada codarda dell’astensione e che hanno deciso di farsi notare non applaudendo una bambina passata per il lager, dove ha perso quasi tutto, oggi diventata donna e senatrice, Liliana Segre.

    L’immagine di quei senatori seduti che non se la sono sentita di applaudire una commissione insediata per fare rispettare la Costituzione (quella Costituzione che i nostalgici sovranisti sventolano a spizzichi e bocconi solo nelle frasi che gli tornano utili come slogan) è la fotografia di un Paese che ancora insiste a scambiare per “dibattito politico” l’inedia costituzionale che sta attraversando il Paese, aprendo le porte al fascismo di ritorno e a tutte le schifezze annesse e connesse.

    Badate bene, non si tratta più delle normali differenze tra destra e sinistra nell’arco parlamentare, qui siamo di fronte allo sbriciolamento dei valori comuni che in Parlamento fino a qualche anno fa erano il “filo rosso” che attraversava tutti i partiti.

    Ora quel filo è nero ed è un cappio. Un cappio con cui continuano pericolosamente a giocare Salvini (e la Meloni in scia) senza rendersi conto che solleticare alcune frange di Paese in nome di qualche voto in più è qualcosa di molto più serio di una propaganda che si impegna ad arrivare a una fetta più ampia possibile di persone.

    Spira in Italia un anti-antifascismo che si ostina a non capire che il contrario del fascismo non è il “comunismo” (giochetto facile facile, insulso, idiota e che quindi funziona) ma l’architettura stessa della democrazia.

    Le parole di Salvini di ieri sera (“Commissione contro il razzismo? Voler controllare confini, voler assegnare case prima agli italiani, voler controllare le periferie è razzismo? Cosa è il razzismo? Io mi becco del razzista 20 volte al giorno da intellettuali di sinistra”) dimostrano una povertà etica e una visione ombelicale di un problema storico che, ahinoi, è molto più ampio e profondo del piccolo capetto di partito di turno sulla cresta dell’onda.

    Proiettare i propri interessi personali in una mozione contro l’odio significa avere la coda di paglia e i carboni bagnati. Significa essere sciacalli al quadrato, ignoranti per professione, irrimediabilmente colpevoli.

    Ci sono pagine della Storia che chiedono chiaramente di prendere posizione: restare seduti è solo da vigliacchi.

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