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    Ergastolo ostativo: la bocciatura di Strasburgo ci dice che è arrivata l’ora di un’Antimafia europea

    Il boss Totò Riina dopo il suo arresto nel 1993. Credit: Alessandro FUCARINI / AFP

    Che nel papello con le richieste di Totò Riina ci fosse la richiesta di abolizione del carcere duro racconta bene come questa misura sia ostica per le mafie. Il commento di Giulio Cavalli

    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 8 Ott. 2019 alle 20:02

    Ergastolo ostativo bocciato da Strasburgo: è ora di un’Antimafia europea

    La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a riformare la legge sull’ergastolo ostativo che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia. Lo ha stabilito in una sentenza che segue la denuncia di Marcello Viola, in carcere degli anni Novanta per associazione mafiosa, rapimento e detenzione d’armi, condannato a quattro ergastoli e mai pentito. Secondo la Corte la non collaborazione con la giustizia potrebbe dipendere da altri fattori come la paura per se stesso e per i propri famigliari.

    Sul carcere duro in Italia da sempre ci sono due schieramenti opposti: chi sostiene l’esigenza di un carcere rispettoso dei diritti umani (come Luigi Manconi e Gherardo Colombo) e chi invece, come Nino Di Matteo, Piero Grasso, Gian Carlo Caselli, Federico Cafiero De Raho, sostiene che abolire il carcere duro sarebbe un enorme regalo alla criminalità organizzata.

    Di certo, questo lo dimostra la Storia, il carcere duro ha spinto molti uomini di mafia ad avviare collaborazioni con la giustizia che sono state essenziali per conoscere il fenomeno e per combatterlo, come già teorizzavano Falcone e Borsellino. Che nel papello con le richieste di Totò Riina ci fosse la richiesta di abolizione del carcere duro racconta bene come sia ostico per le mafie.

    Ha fondamento il ricorso dell’Italia quando dice che la particolarità delle associazioni criminali in Italia richiede leggi a hoc per combattere il fenomeno: solo attraverso i pentiti la Giustizia è riuscita a conoscere i meccanismi delle mafie (con grave dispendio di vite umane) e ha potuto disarticolare cupole che si fondano su patti di sangue.

    Allora l’Europa potrebbe, oltre che ammonire l’Italia, prendersi anche la responsabilità di un fenomeno mafioso che dall’Italia si è ormai espanso in tutti i Paesi dell’Unione e che ancora non trova a livello europeo un coordinamento interforze. Perché non pensare ad esempio a una legge europea che pensi al reato di mafia in tutti gli Stato membri? Perché non pensare finalmente a una super procura antimafia europea che estenda le indagini e le propagazioni della criminalità organizzata in tutti i Paesi, rendendo più facile il lavoro della magistratura italiana, che spesso si ritrova a dovere farsi carico di tutto il lavoro?

    Così sarebbe più semplice raccontare a Bruxelles cosa significhi la mafia e sarebbe anche il momento di dividere diritti e doveri, oneri e onori. Quel lavoro di intelligence internazionali che Falcone e Borsellino teorizzavano, appunto.

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