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    Coronavirus: ora che ci respingono e nessuno ci vuole, capite come si sentono gli ultimi del mondo?

    Credit: ANSA/DANIEL DAL ZENNARO
    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 7 Mar. 2020 alle 13:30 Aggiornato il 9 Mar. 2020 alle 13:55

    Coronavirus, italiani appestati: ora capite come si sentono i migranti?

    Come ci si sente a essere gli appestati? Male, veh? Essere riconosciuti all’estero perché italiani e quindi essere assimilati al virus come accadeva solo fino a qualche settimana fa ai cinesi, provenire dalle zone gialle o rosse o comunque dai territori vicini e scoprire che Lodi ora la riconoscono in tutto il mondo, essere guardati con circospezione, provare il disagio di essere considerati come appartenenti a una malattia e non come persone: in queste settimane gli italiani subiscono una nuova italianofobia che non avrebbero mai creduto di ritrovare.

    E anche all’interno del Paese per alcune settimane è stato lo stesso: essere di Lodi a Milano, essere settentrionale al sud, essere veneto nelle Marche, prima che il contagio si espandesse su tutto il territorio nazionale, è stato straniante. Suona retorico provare a trasformare le sfortune in occasioni, eppure il contesto che il Coronavirus ha creato in Italia ci racconta quanto sia facile per un motivo qualsiasi diventare uno di quegli altri, quelli che sono in difficoltà, quelli che hanno bisogno, quelli che in un attimo si ritrovano catapultati nel cassetto degli sfortunati anche se fino a un minuto prima si sentivano invincibili.

    Ci si mette pochissimo a essere improvvisamente schifati, è una discesa agli inferi che non prevede sempre una colpa (che colpa ha il Paese Italia di essere uno di quelli con più contagi nel mondo?) eppure è una condanna che ci si porta addosso come un tatuaggio indelebile. Le certezze crollano velocemente, in un attimo, e quando cadono alzano un polverone che è difficile scrollarsi di dosso.

    Sta succedendo di tutto in questi giorni: ci sono Stati stranieri che chiudono le frontiere agli italiani come appestati, ci sono aeroporti che ci ricacciano indietro, ci sono le ONG che improvvisamente ci ritornano utili, c’è la nostra sanità pubblica (che abbiamo sempre data per scontata) che improvvisamente si ritrova in bilico, c’è la carenza del personale ospedaliero che non è più una notizia piccola da impaginare per qualche rivendicazione sindacale, ci sono quelli che hanno la possibilità id curarsi e di salvarsi (e in questo caso non siamo noi) che non sono disposti nemmeno a venderci le mascherine. Gli ultimi giorni sono un lungo contrappasso che per forza deve servirci da lezione. Come ci si sente a essere degli appestati?

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