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    Se Carola è pirata, allora siamo tutti pirati (di Luca Telese)

    Illustrazione di Emanuele Fucecchi
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 30 Giu. 2019 alle 11:52 Aggiornato il 27 Set. 2019 alle 13:35

    Carola Rackete pirata | “Pirata” è chi ruba. Non chi regala. “Pirata” è chi depreda e toglie la vita, non chi assiste e salva una vita. “Pirata” è chi insegue la sua legge contro tutte le leggi, non chi obbedisce alla legge dei diritti umani e del mare. “Pirata” è chi si arricchisce nell’impresa, non chi si impoverisce.

    In questo incredibile ribaltamento di senso che stiamo vivendo, la cosa più interessante è il proliferare delle contro-narrazioni allucinate e deliranti. Per questo apprezzo molto il buonsenso di un moderato come Graziano Delrio che ha usato un esempio chiarissimo: “Anche una ambulanza che corre in ospedale passa con il rosso”.

    L’orgia delle contro-narrazioni allucinate e interessate che hanno come obiettivo quello di screditare Carola Rackete e le ONG, chiamando “Pirata” chi – sostanzialmente – non è d’accordo con la politica di Matteo Salvini, purtroppo parte da lontano, inizia con la campagna di discredito contro le missioni di soccorso iniziata due estati fa, quando governava il centrosinistra.

    Questo racconto fantastico e manipolato, è come un libro delle favole tagliato a metà a cui mancano i primi capitoli, quelli importanti per capire il senso della storia. E invece il primo capitolo, il primo pezzo di realtà amputato è il più importante.

    La Libia non è un “porto sicuro”. La Libia è un paese in guerra in cui i diritti umani non esistono e in cui chi fugge dalla guerra e dalla violenza finisce in un lager.

    Il secondo capitolo tagliato è questo: la guardia costiera libica, addestrata da noi, non è una organizzazione di crocerossine dedite alla cura dei bisognosi. E non è nemmeno un corpo militare.

    Andatevi a vedere le foto, se avete dubbi: quelli si, che sembrano pirati. Svolgono il lavoro sporco, secondini e carcerieri che inseguono chi fugge per riportarlo in carcere. La nostra Guardia di Finanza, corpo fatto di persone probe e oneste, aveva avuto l’ordine di piazzarsi davanti all’ingresso dell’ospedale per sbarrare la strada all’ambulanza.

    Con grande coraggio, perché adesso l’attende un processo in cui rischia dieci anni di condanna, il capitano della Sea Watch ha fatto sentire il peso delle 600 tonnellate della sua nave, ha costretto la motovedetta ad allontanarsi, con la leggerezza di chi vuole fare una cosa semplice: portare a riva i naufraghi.

    Caso Sea Watch: riassunto di un’odissea durata 17 giorni

    Il coraggio è la forza di pagare un prezzo per le proprie idee. Il coraggio è di giocarsi anni di vita per la vita degli altri. Ma adesso voi fatevi la domanda giusta e chiedetevi: chi ha ordinato di sbarrare la strada alla Sea Watch? Rimettete nell’ordine giusto i capitoli del libro.

    Se nel 1945 nella cittadina di Oswiecim, in Polonia (meglio nota con il none tedesco di Auschwitz) qualcuno avesse aiutato a far evadere alcuni deportati con il pigiama a strisce, lo avremmo definito “pirata”? E oggi, lo definiremmo “pirata”?

    E se qualcuno avesse denunciato i fuggiaschi e se la polizia avesse ricevuto l’ordine di organizzare un posto di blocco, oggi diremmo che gli evasi avevano attentato alla vita di probi padri di famiglia e servitori dello stato? O diremmo che pirata era chi aveva dato loro quell’ordine?

    Quando Matteo Salvini per due volte ha bloccato in porto la Nave Diciotti, che fa parte della guardia costiera italiana, nessuno si è curato dei “padri di famiglia” bloccato nel molo con indosso le divise di un corpo dello Stato Italiano.

    È una sporca guerra, questa, in cui tutto viene usato, tutto viene contraffatto. Chi scappa da una guerra, come gli internati di Auschwitz, come i profughi siriani, come i profughi che arrivano dalla Libia non è un “invasore”. Oscar Schindler, che salvava vite contro la legge del suo stato, non era un “pirata”.

    La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – ecco un altro capitolo da rimettere al suo posto – è nata perché non accadesse mai più, perché nessuno potesse più votare leggi criminali. Ma anche quando non esisteva la proclamazione dei diritti esistevano i principi: Ghandi non era un persecutore di “padri di famiglia” britannici.

    Gli schiavisti dell’Alabama che bruciavano i neri che avevano l’ardire di violare la legge che imponeva loro il coprifuoco non erano una ronda di cittadini che tutelavano il diritto. Pirata era quella legge iniqua.

    Diciassettemila (17.000!) persone, migranti, disperati arrivati dal mare in Italia lo scorso anno, non sono milioni di invasori. Il vergognoso comportamento dell’Unione europea che si lava le mani di tutto, e che non vuole seccature, perché considera l’Italia una pattumiera dove risolvere i problemi, non è un alibi per la politica di Salvini, ma casomai il contrario.

    Siccome sono ipocriti a cui non importa nulla delle vite umane, e siccome non vogliono problemi, la politica dei “porti chiusi” a loro va benissimo.

    Carola Rackete pirata | Pirata non è chi viola una legge inventata per provare a forzare i trattati e le convenzioni che riconoscono i diritti umani. Altrimenti significherebbe che non esistono più diritti umani. E per cancellare il diritto umani e la legge del mare non basta un decreto sicurezza uni, due i tre. Mettere una multa di diecimila euro per ogni vita salvata non è un codice di legge.

    È una norma che domani potrà portare qualcuno davanti ad un tribunale internazionale. Pirata non sono le maestre che danno da mangiare anche ai bambini di colore.

    Pirata non è l’allenatore che accompagna sul campo il ragazzo di colore integrato allontanato di 80 chilometri dal centro dove abitava e deportato con un provvedimento iniquo perché torni ad essere uno sbandato, perché diventi un problema, e perché produca odio e consenso.

    Pirata non è Simone di Torre Maura (“Só de Torre Maura che sì”) che difende una famiglia di Rom legittima assegnataria di una casa.

    Pirata non è la famiglia che ha ospitato i deportati a casa propria.

    Pirati non sono i tre parlamentari di sinistra italiana e Pd che sono saliti sulla Sea Watch per espletare la loro prerogativa di garanzia ispettiva, e che secondo Matteo Salvini sono traditori che “dovrebbero essere arrestati”. Un parlamentare ha il diritto di controllare quello che non si può vedere e di far parlare chi non può parlare.

    Pirata è chi è andato a gridare “Puttana ti stupro!” alla signora Omerovic. Pirata è chi pensa che i neri debbano morire in mare perché sono invasori e neri. Per questo, se Carola è pirata, siamo tutti pirati.

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