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    Il Capitalismo buono fa guadagnare: la lezione di Davos

    Davos 2020. Credit: EPA/GIAN EHRENZELLER
    Di Elisa Serafini
    Pubblicato il 30 Gen. 2020 alle 18:48

    Globalizzazione e capitalismo sono stati, per molto tempo, termini controversi, utilizzati in manifestazioni, libri e articoli come simbolo della prevaricazione finanziaria e dello sfruttamento. Dal capitalismo aziendale fino a quello “di Stato” promosso da Paesi come la Cina, l’idea che un processo di mercato crei conseguenze negative, oltre che esternalità positive, è sempre stata un “mantra” ripetuto da politici, accademici, e leader di tutto il mondo.

    Questo nonostante sia dato ormai per assodato che il mercato ha effettivamente contribuito a produrre innovazioni che hanno tolto dalla povertà milioni di persone, hanno migliorato le condizioni igienico-sanitarie, salvando vite umane, e incrementato i livelli di benessere in tutto il mondo.

    In questo contesto, per evitare di perdere consumatori ed essere coinvolte in crisi di reputazione, le aziende di tutto il mondo hanno lentamente iniziato ad innovare concentrandosi su metodologie di approccio sostenibile. Grandi e piccole aziende, a partire dagli Stati Uniti, hanno iniziato a finanziare progetti sociali, implementare politiche di welfare aziendale e riorganizzare i processi in ottica di salvaguardia dell’ambiente.

    La comunicazione digitale e la crescita di attenzione verso temi sociali e ambientali hanno portato ad un incremento esponenziale di queste azioni, fino a realizzare quello che al recente Forum Economico Mondiale di Davos è stato definito il “Capitalismo 4.0”, ovvero una forma di mercato che tiene conto dell’inclusione dei diversi stakeholders coinvolti dal mercato: consumatori, ambiente, dipendenti e società in generale.

    Il Capitalismo 4.0 ha una particolarità: è, sì, sostenibile e inclusivo, ma, soprattutto funziona e fa guadagnare. Le politiche di sostenibilità e di responsabilità sociale permettono alle aziende di guadagnare di più, di ricevere maggiori finanziamenti da parte di fondi di investimento (l’ultimo a stabilire questo tipo di vincolo è stato il fondo BlackRock, il più grande al mondo) e di sopravvivere ai grandi cambiamenti di consumo della nostra epoca.

    È stato infatti stimato che oltre il 64 per cento dei consumatori di tutto il mondo sceglie o esclude prodotti o aziende a seconda della loro posizione su valori sociali o politici (Edelman). Ci sono, inoltre, aziende che hanno basato l’intera mission sull’erogazione di servizi o prodotti sostenibili. Uno di questi è stato Wholefood Market, supermercato creato dall’imprenditore-filosofo John Mackey che ha dimostrato con il suo libro “Conscious Capitalism” (Capitalismo coscienzioso) che il bilanciamento tra ricerca del profitto e coscienza sociale fa bene alle imprese.

    Insomma, fare del bene conviene, e anche se non viene mai esplicitamente dichiarato, questo è uno dei motivi per cui migliaia di aziende in tutto il mondo, aderiranno ai principi espressi dal Forum Economico Mondiale di Davos: quelli di crescita sostenibile ed inclusiva. È l’inizio di una nuova forma di mercato, e, probabilmente, di una piccola rivoluzione culturale, che non verrà portata avanti dagli Stati, ma dai brand e dalle organizzazioni no-profit. Il mercato ha infatti deciso: saranno le aziende a dover portare avanti azioni responsabili ed inclusive, ed il prezzo del non adeguarsi potrà essere più caro di una crisi.

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