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Quando eravamo tutti Charlie

Il commento di Lara Tomasetta in seguito alla pubblicazione da parte di Charlie Hebdo della vignetta sul terremoto in Italia

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 2 Set. 2016 alle 14:56

Allora eravamo tutti Charlie. E ora cosa è accaduto? Non sappiamo reggere un po’ di satira? 

Oggi l’indignazione è massima dinanzi alla vignetta della rivista francese Charlie Hebdo che senza esitazioni fa sberleffi dell’Italia e della sua “maniera” raffazzonata di saper affrontare calamità naturali come il terremoto.

La vignetta non lascia spazio a equivoci. È il “sisma all’italiana” con il menù fisso da turista per una lasagna macerie e morti e penne al sugo, o – meglio – al sangue.

Ma quanti di noi, all’epoca dell’attentato alla sede del giornale satirico francese, hanno cambiato la propria immagine del profilo sostituendola con quella di Je suis Charlie?

Il primo a postarla su Twitter – poco meno di un’ora dopo l’attentato del 7 gennaio 2015 – fu Joachim Roncin, giornalista di musica francese per la rivista Stylist. A lui se ne attribuisce anche la paternità. 

Poi un commosso e partecipe popolo italiano si espresse in massa, sul web o attraverso qualunque altro mezzo possibile, per testimoniare la propria vicinanza alla testata francese che, a causa di alcune vignette satiriche sull’islam, divenne oggetto di un violento attentato, rivendicato dall’Isis, durante il quale morirono 12 persone all’interno della redazione.

Ci eravamo buttati a capofitto in uno slancio di identificazione e oggi – per assurde e terribili circostanze – ci ritroviamo dinanzi allo specchio che ci mostra in cosa, precisamente, rivendicavamo di immedesimarci. Ecco, adesso, onestamente, faremmo tutti un bel passo indietro.

La tentazione di porre una distanza da quella stessa rivista che per noi rappresentava la libertà, unica e inattaccabile, di manifestare un pensiero, è alta.

Il punto è che un anno fa, quando abbiamo aderito senza attenuanti a questa identificazione, probabilmente nessuno di noi aveva osservato attentamente le vignette pubblicate dalla rivista.

Questo non significa che condannare fermamente l’attentato fosse sbagliato – anzi – ma che forse d’impulso abbiamo legittimato un modo di fare satira che trova i suoi limiti in vignette come quella che oggi offende le nostre vittime. E che oggi ci pone, quantomeno in una posizione difficile – in termini di coerenza.

Non si può accettare in toto e non si può condannare in toto. Semplice e forse banale.

Ma il web, l’ansia di sentirsi parte del gruppo, di un movimento, di un pensiero, spesso compromettono la nostra capacità di valutazione.

E oggi non sappiamo più chi siamo. Certamente, non Charlie.

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