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L’Antitrust ha bocciato la “tassa sugli immigrati”

Di Laura Melissari
Pubblicato il 20 Feb. 2019 alle 11:00 Aggiornato il 27 Feb. 2019 alle 13:19

L’Antitrust ha bocciato la tassa sui money transfer, che da molti era stata definita la tassa sugli immigrati.

Il decreto fiscale 2018 aveva imposto un prelievo dell’1,5 per cento alle società che inviano denaro verso i paesi extra-comunitari.  L’imposta, che prevedeva dunque un’imposta dell’1,5 per cento sulle somme di denaro spedite all’estero, è stata giudicata discriminatoria e in violazione della concorrenza.

Il Garante per la concorrenza e il mercato (Agcm), ha inviato una nota al governo, definendo la norma del decreto fiscale “ingiustificatamente discriminatoria” perché non grava sulle banche (italiane o estere) e neanche sulle Poste, ma colpisce i soli money transfer.

Secondo l’Antitrust vi è inoltre il rischio che i money transfer scarichino questa imposta sui clienti, aumentando le tariffe per il trasferimento di denaro.

Il Garante, dunque, chiede al governo “opportune modifiche” alla legge che eliminino gli “effetti discriminatori” dell’imposta e ripristinino “le condizioni per un corretto confronto competitivo”.

La tassa aveva l’obiettivo trattenere in Italia almeno una piccola quota del denaro prodotto sul territorio nazionale dai lavoratori stranieri, che spesso inviano all’estero alle proprie famiglie, buona parte dei profitti.

Nel 2018 l’ammontare dei trasferimenti di denaro all’estero è stato di circa 5 miliardi di euro, di cui circa l’80 per cento destinato a Paesi extra-europei.

Attualmente i migranti che trasferiscono denaro all’estero, pagano già una commissione del 6,2 per cento. I critici della tassa sui money transfer sostengono che questa andrebbe a costituire un ulteriore peso economico per lavoratori regolari e che si rischierebbe così di andare a ingrossare i canali di trasferimento di denaro illeciti.

L’imposta va inoltre contro il principio dell’aiutiamoli a casa loro, portato avanti dalla Lega e dal Movimento Cinque Stelle. Nei paesi più poveri, i cui cittadini sono emigrati all’estero, una quota rilevante del Pil è costituita dalle rimesse di denaro provenienti proprio dai lavoratori che sono andati a lavorare fuori dal proprio paese.

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