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Sea Watch, “Salvini perché dici che i porti sono chiusi quando a Lampedusa continuano gli sbarchi”: ex ammiraglio Marina a TPI

Credit: FEDERICO SCOPPA / AFP

Vittorio Alessandro, contrammiraglio in congedo della Guardia Costiera Italiana, espone a TPI le sue perplessità in riferimento alla vicenda delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye, con a bordo complessivamente 49 migranti, bloccate dal 22 dicembre 2018 nel mar Mediterraneo in attesa di un porto sicuro dove poter sbarcare

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 7 Gen. 2019 alle 15:20 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:34

“Fino a poco tempo fa, salvare le persone in mare era un riflesso condizionato, una reazione istintiva. Oggi è diventata una questione ideologica per cui oltre 400 milioni di abitanti, un intero continente, si pongono il problema per far sbarcare 45 persone”.

Vittorio Alessandro, contrammiraglio in congedo della Guardia Costiera Italiana, espone a TPI le sue perplessità in riferimento alla vicenda delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye, con a bordo complessivamente 49 migranti, bloccate dal 22 dicembre 2018 nel mar Mediterraneo in attesa di un porto sicuro dove poter sbarcare.

Leggi anche: La portavoce di Sea Watch a TPI: “Parole di Di Maio retoriche e irresponsabili. Qui si fa teatro sulla pelle delle persone”

Dopo la presa di posizione del premier Conte, che aveva aperto alla possibile accoglienza di 15 dei 49 migranti, Salvini ha ribadito il suo secco no, utilizzando ancora una volta l’espressione-simbolo della sua politica dell’accoglienza zero, quella dei “porti chiusi”.

Una posizione che non trova però fondamento né nei dati pubblicati dal Viminale, né in misure concrete disposte dai competenti ministeri.

“Non ho letto un decreto che dica che i porti sono chiusi. Non esiste alcune legge che chiuda questo o quel porto”, afferma Alessandro. “Anche un eventuale intervento su un qualunque porto deve essere fortemente motivato da ragioni di ordine pubblico (e il Viminale avrebbe titolo per farlo) e le ragioni devono essere ben descritte. Questa sarebbe comunque una deroga al normale ordinamento dei porti”.

“Ma al momento non c’è”, ribadisce l’ammiraglio, “ci sono solo i lanci su Twitter che vogliono dare un indirizzo a comandanti, magistrati e sindaci. Il tutto solo sui social network”. 

Come spiega l’ex ammiraglio, “non possiamo fermare un flusso che sappiamo con certezza non può essere fermato. Lo stesso sindaco di Lampedusa ha detto che l’isola è raggiunta costantemente da molte persone, solo che non se ne parla. La realtà, però, è sempre più forte delle scelte ideologiche”.

“Il mare non ferma nessuno”, afferma Alessandro che ricorda come il silenzio calato sui soccorsi in mare abbia ormai convinto sempre più persone a voltarsi dall’altra parte.

“Se ci fossero state le motovedette della Guardia Costiera non ci sarebbero state nemmeno le navi di soccorso. È il silenzio che non ci consente di capire l’entità della vicenda. Un silenzio che viene interrotto solo dalle esclamazioni dei politici, non da veri provvedimenti. Se io voglio chiudere i porti faccio una legge”.

“Tutti ormai si girano dall’altra parte: mercantili, pescatori. Capisco lo stato d’animo che vivono gli ufficiali della guardia costiera italiana, con questo non posso certo farmene portavoce. La guardia costiera ha come fulcro il soccorso, fino a poco tempo fa, era un soccorso senza riserve. Oggi le cose sappiamo che sono cambiate. La pressione psicologica è ormai diventata forte, il risultato che si voleva ottenere è stato raggiunto anche nei confronti delle Ong: una nave che entra in Italia oggi viene sequestrata e posta sotto processo”.  

Se oggi una nave di una Ong decidesse di entrare in un porto definito “chiuso” dal ministro Salini, si verificherebbe quello che è accaduto per la Diciotti. Come spiega Alessandro, “Il ministro dei trasporti aveva fatto entrare la nave nel porto di Catania, ma il ministro degli interni decise di impedirne lo sbarco, anche lì fu solo un lancio pubblico alla stampa”.

“Il pericolo, o presunto pericolo, rappresentato da 40, 100, 300 persone viene di volta in volta usato per chiudere questo o quel porto, e nel frattempo ci sentiamo la coscienza a posto se pensiamo che le persone siano comunque in salvo su una nave. Ma il soccorso in mare non si esaurisce quando la barca recupera le persone a bordo, ma si esaurisce, tecnicamente, per storia della marineria, quando queste persone vengono trasferite a terra”.

L’ex ammiraglio fa poi un paragone con il famoso caso della Costa Concordia, il tragico naufragio della nave della Costa Crociere durante il quale però migliaia di persone vennero tratte in salvo.

“Se fosse accaduto oggi, e si fosse adottato il meccanismo ormai burocratico che gli stati europei hanno applicato negli ultimi tempi, sarebbero stati necessari diversi mesi per trarre in salvo tutte quelle persone”, puntualizza l’ammiraglio.

“E non è che riguardo al soccorso si possono fare distinzioni tra paganti, naufraghi, migranti. Il soccorso è il soccorso. Stando in mare sono persone in mare. Che possa figurarsi rassicurante la loro situazione quando ormai sono su un’imbarcazione che tra l’altro che ha etichetta di nave di salvataggio è un assurdo”.

“Qualunque nave di salvataggio non è attrezzata per ospitare a lungo persone a bordo, ma solo per accoglierle e portarle a terra. Non è che siano imbarcazioni che hanno la possibilità di albergare persone”.

“Il ministro Salvini”, conclude Alessandro, “quando ancora non era ministro, parlava di piattaforme da tenere in mare per fermare i migranti. Ma in mare queste cose non esistono, è davvero parlare una lingua padana: in mare stanno bene solo i pesci e neanche loro a tratti, visto come trattiamo il mare. Non è un caso che siano i sindaci dei grandi paesi di mare a opporsi a questa politica, a porre il problema dell’accoglienza e non escludo che questo discorso proceda nei termini di nuova proposta e nuova idea”. 

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