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    La Cassazione assolve l’ex sindaco Marino: “Un sollievo ma non sono allegro”

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 10 Apr. 2019 alle 09:24

    Il 9 aprile la Cassazione ha assolto definitivamente l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, accusato di aver usato i soldi del Comune per pagare alcune cene personali nel 2013.

    L’ex primo cittadino era già stato assolto in primo grado, ma condannato in Appello, per cui la decisione finale spettava alla Corte di Cassazione, che ha deciso di assolvere Marino.

    Il verdetto degli ermellini era stato anticipato dalla stessa pubblica accusa, quando il procuratore generale della Cassazione, Mariella De Masellis, aveva sostenuto che “il fatto non sussiste”.

    “Ho appreso dal prof. Musco e dell’avvocato Martuscelli della decisione della Cassazione. È un sollievo ma non posso dire di essere allegro”, è stata la risposta dell’ex primo cittadino affidato alla rete.

    “Penso a tutti quelli che hanno sofferto con me, per me, in questi anni. Oggi sento solo di dire grazie a tutti voi per l’affetto e la stima”.

    Le accuse – Ignazio Marino era indagato per peculato per aver usato la carta di credito del Campidoglio per pagare 56 cene private nel 2013 per un totale di 13mila euro.

    La prima cena al vaglio dei giudici risaliva al 6 settembre di quello stesso anno, cena che l’ex sindaco giustificò affermando di essere stato con l’ambasciatore del Vietnam. La sua versione fu però smentita dalla segretaria dell’ambasciatore.

    Anche il 26 ottobre Marino era stato accusato di avere pagato una cena a cui erano presenti alcuni esponenti della Comunità di Sant’Egidio, che nei giorni successivi hanno smentito la loro partecipazione.

    Il 26 dicembre, invece, l’ex sindaco avrebbe usato i soldi del Comune per pagare una cena “offerta per motivi istituzionali a rappresentanti della stampa”. Ma il titolare del ristorante aveva però smentito Marino, raccontando che si era fosse recato nel locale con i familiari. Riguardo a questa cena, lo stesso sindaco disse però che quel giorno la sua famiglia non era a Roma.

    Secondo l’accusa, anche altre cene erano state giustificate come “motivi istituzionali”.

     

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