Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
Home » News

Processo Cucchi, frase shock del carabiniere: “Magari morisse”

La conversazione telefonica intercettata è contenuta negli atti depositati dal pm Musarò nell'udienza del 24 ottobre 2018

Di Massimo Ferraro
Pubblicato il 24 Ott. 2018 alle 16:58

“Magari morisse, li mor****i sua”. È il contenuto di una conversazione telefonica, intercettata, avuta tra due carabinieri a poche ore dall’arresto del geometra romano Stefano Cucchi, riportata in uno dei documenti che il pm Giovanni Musarò ha depositato mercoledì 24 ottobre ai giudici in Corte d’Assise.

A parlare è uno dei carabinieri, poi imputati per calunnia nel processo-bis di Roma, con il capoturno della centrale operativa del comando provinciale.

In particolare il militare fa riferimento alle condizioni di salute del 31enne geometra che si trovava in quel momento nella stazione di Tor Sapienza, dopo essere stato pestato alla caserma Casilina.

“Mi ha chiamato Tor Sapienza – dice il capoturno della centrale operativa -. Lì c’è un detenuto dell’Appia, non so quando ce lo avete portato se stanotte o se ieri. È detenuto in cella e all’ospedale non può andare per fatti suoi”. E l’altro: “È da oggi pomeriggio che noi stiamo sbattendo con questo qua”.

Nell’udienza presso la prima Corte d’Assise del Tribunale di Roma, Musarò punta il dito contro “gli ordini dall’alto” che hanno coperto le responsabilità sul pestaggio del giovane geometra romano.

“C’è stata una attività di inquinamento probatorio, indirizzando in modo scientifico prove verso persone che non avevano alcuna responsabilità e che sono state sottoposte a giudizio fino in Cassazione, e ora sono parte civile perché vittime di calunnie”, ha dichiarato il pm che ha consegnato nuovi atti ai giudici.

Nell’udienza si è poi scoperto che c’è un altro indagato nel processo-bis per la morte di Stefano Cucchi: oltre ai 5 carabinieri rinviati a giudizio nel luglio del 2017, c’è anche l’ex capo ufficio comando del Gruppo carabinieri Roma, il tenente Colonnello Francesco Cavallo.

“Questa storia è costellata di falsi subito il pestaggio ed è proseguita in maniera ossessiva subito dopo la morte di Stefano Cucchi”, ha affermato il pm.

A metà ottobre è stato ascoltato anche il luogotenente Massimiliano Colombo, come riportato negli atti del pm. “Sembrava una riunione di alcolisti anonimi”, ha dichiarato il militare, riferendosi all’incontro che la mattina del 30 ottobre del 2009 si svolse al comando provinciale di Roma, quando ormai il caso legato alla morte di Stefano Cucchi era diventato di dominio pubblico e la Procura aveva cominciato a sentire alcuni militari.

“Io partecipai a quella riunione insieme al piantone Gianluca Colicchio. Erano presenti il comandante provinciale Vittorio Tomasone, il comandante del Gruppo Roma Alessandro Casarsa, il maggiore Luciano Soligo (comandante della compagnia di Roma Montesacro, da cui dipendeva il comando di Tor Sapienza), e poi Unali, il maresciallo Mandolini e altri tre/quattro carabinieri del Comando Stazione dei carabinieri di Roma Appia”.

“Da una parte c’erano Tomasone e Casarsa, mentre gli altri erano tutti dall’altra parte. Sembrava una riunione degli alcolisti anonimi: ognuno a turno – è il ricordo di Colombo – si alzava in piedi e parlava spiegando il ruolo che aveva avuto nella vicenda in cui era stato coinvolto Stefano Cucchi”.

“Ricordo che uno dei carabinieri della stazione Appia che aveva partecipato all’arresto di Cucchi non era molto chiaro, e un paio di volte intervenne Mandolini per integrare cosa stava dicendo e per spiegare meglio, come se fosse un interprete”.

“Ad un certo punto Tomasone zittì Mandolini dicendogli che il carabiniere doveva esprimersi con le sue parole, perché se non fosse stato in grado di spiegarsi con un superiore certamente non si sarebbe spiegato neanche con un magistrato“, ha raccontato ancora Colombo.

“In quella sede non si parlò della doppia annotazione. I comandanti di Compagnia e il colonnello Casarsa non dissero una parola e neanche io parlai perché non avevo nulla da dire”.

“Di quella riunione non c’é nulla di scritto, non fu redatto alcun verbale né in merito alla circostanza che vi era stata una riunione, né in merito al nominativo di chi vi partecipò, né in merito a quanto fu dichiarato dai presenti. Cavallo non partecipò alla riunione presso il Comando”.

Leggi l'articolo originale su TPI.it
Mostra tutto
Exit mobile version