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“Le pallottole che ci ha sparato la guardia costiera libica sono pagate dall’Europa”

Cosa sta cambiando in mare per Ong e migranti dopo i nuovi accordi tra Italia e Libia? Parla Riccardo Gatti, capo-missione della Ong spagnola Proactiva Open Arms

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 30 Ago. 2017 alle 13:43 Aggiornato il 6 Apr. 2018 alle 13:13

Si sono fatti più stretti i rapporti tra il governo italiano e quello libico guidato da Fayez al Sarraj, che controlla quasi solo il territorio della città di Tripoli. Questo è stato possibile grazie al vertice di Parigi sulla gestione dei flussi migratori, avvenuto il 28 agosto, e soprattutto in seguito all’incontro, di due giorni prima, tra il ministro dell’Interno Marco Minniti e il suo omologo libico.

Se le nuove politiche del governo italiano sembrano abbastanza definite, ci si chiede: cosa sta cambiando in mare per per le Organizzazioni non governative e per i migranti che vengono salvati?  A un mese di distanza dall’approvazione del nuovo codice di condotta per le Ong, definito al Viminale il 25 luglio, TPI lo ha domandato a Riccardo Gatti, capo-missione della Ong spagnola Proactiva Arms, tornato dall’ultima missione giovedì 24 agosto.

Dopo gli accordi tra Italia e Libia sono cambiate le rotte dei migranti in fuga, o pensa che comunque cambieranno in futuro?

Sono già cambiate. Mi trovavo al largo della Grecia quando è stato firmato l’accordo con la Turchia e poi sono venuto nel Mediterraneo centrale, proprio perché si era registrato un aumento dei flussi. Fino a fine luglio, il 95 per cento dei salvataggi è avvenuto a ovest di Tripoli, mentre, nell’ultimo mese – oltre a essere notevolmente diminuite le partenze – si può dire che i salvataggi siano avvenuti soprattutto a est di Tripoli.

Dal vertice di Parigi di lunedì 28 agosto è emersa anche la volontà di predisporre degli hotspot in Niger e Ciad per smistare le persone in fuga in due macrogruppi: quelli che scappano dalle guerre e migranti economici, i primi da accogliere e i secondi da respingere. Si tratta di esternalizzare il lavoro che al momento viene fatto durante degli sbarchi, riducendoli. Lei cosa ne pensa?

Si sta cercando di organizzare e strutturare qualocosa in paesi che al momento non hanno nessuna garanzia di sicurezza e nessuna stabilità. Mi sembra un altro modo per cercare di esternalizzare le frontiere europee sempre più a sud.

I ragazzi che stiamo salvando a bordo, che in un anno sono stati 21mila, ci hanno raccontato tutte le violenze sofferte in Libia e nei paesi dai quali sono partiti. Allora mi chiedo: in quale chiave vengono fatte queste divisioni?

Come vede invece l’accordo tra Libia e Italia?

Credere che la Libia si incaricherà del “secure rescue” è abbastanza patetico, ci saranno molti più morti per le peggiori condizioni di navigazione. Ricordo che i migranti attualmente stanno scappando dalla Libia, ormai, non dai loro paesi di origine, e allora cosa succederà?

In una recente riunione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ci è stato detto che in Libia è possibile visitare solo 15 dei 34 centri di detenzione ufficiali, e in questi le condizioni sono deplorevoli. Se questo è quel governo che si vuol far passere come sicuro e dove si possono rimandare indietro le persone, è davvero assurdo.

Sia ad aprile che a luglio la Proactiva ha avuto problemi con la guardia costiera libica, cosa è successo?

La prima volta siamo stati minacciati con le armi, ci hanno sparato per intimarci di allontanarci dalle loro acque. Via radio ci hanno chiesto un’autorizzazione rilasciata dal governo libico per rimanere nella zona dove stavamo navigando pur essendo in acque internazionali, autorizzazione che a livello internazionale non dovevamo avere. Siamo stati obbligati a seguirli e poi ci hanno lasciato andare. La seconda volta non ci hanno sparato ma ci hanno intimato di velocizzare l’andatura o cambiare rotta sempre sotto minaccia delle armi.

La guardia costiera libica non è un organo operativo di salvataggio, sono delle imbarcazioni armate che pretendono di fare salvataggi in mare. Il loro atteggiamento è quello di sparare alle Ong cercando di farle andare via. Come è possibile ipotizzare di fare accordi con loro?

L’Unione europea sta pagando un sacco di soldi per la guardia costiera, stanno cercando di far passare il governo di Tripoli come qualocosa di stabile e organizzato, si dice che è un governo che ha dei problemi con una crisi umanitaria.

A me la guardia costiera italiana non mi ha mai sparato addosso, la guardia costiera di Tripoli si, però le pallattole gliele paga l’Europa.

Siete stati accusati di avere collegamenti con gli scafisti, come si difende?

Tutte le accuse, anche quelle portate avanti finora dalle diverse procure d’Italia, sono cadute. Io non ho mai avuto contatti con scafisti.

L’8 agosto, la Proactiva Open Arms ha sottoscritto il nuovo codice di condotta per le Ong, sono cambiate le cose per voi e se sì come?

Le cose non sono cambiate in mare. Se poi si vuole incrementare la collaborazione con la guardia costiera libica, e questa collaboazione significa di fatto obbligarci a mandare indietro delle persone, noi ci opporremo. Noi non abbiamo mai considerato la Libia come un paese sicuro. Sappiamo che a poco a poco quello che si sta facendo è eliminare degli occhi scomodi, quelli delle Ong che mostrano cosa sta accadendo lì.

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Si sta cercando di eliminarvi?

Se prima eravamo 12 navi, ora siamo solo 4, è semplice. Noi andiamo avanti, fino a quando non ci diranno che non è più possibile. Anche se la polizia vuole controllare cosa accade sulle navi, ben  venga. Ogni persona che è presente a bordo è necessaria. Abbiamo già avuto i poliziotti spagnoli a bordo più di una volta.

Il ministro Minniti dice che le misure adottate in questi mesi hanno avuto un impatto sul numero degli sbarchi (3.194 contro i 21.294 dell’agosto 2016), mostrando soddisfazione per la gestione dell’emergenza migranti. Ma è giusto parlare di emergenza?

Per me è sempre stato improprio parlare di emergenza nel senso che questa rotta esiste da tanti anni, l’emergenza c’era perché non si voleva operare con salvataggi in mare e senza un adeguato livello di accoglienza, che in quel senso appare sempre molto scarso. Dal mare sembra che siano diminuite le partenze, ma non sappiamo cosa sta succedendo in Libia. Le persone che salgono a bordo ci raccontano di un aumento della violenza  che erano già prima a livelli estremi.

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