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“Che str***ata, sarà la fine della musica”: De Gregori ‘distrugge’ Mogol (e Salvini)

Di Giovanni Macchi
Pubblicato il 28 Feb. 2019 alle 15:37 Aggiornato il 28 Feb. 2019 alle 17:29

“Una stronzata”. Con questa risposta testuale, secca ed immediato, seppur con il sorriso sulle labbra, Francesco De Gregori boccia la proposta leghista, subito salutata con entusiasmo anche in ambienti artistici e associativi come Siae e Assomusica, di fissare per legge una quota minima del 30 per cento di trasmissione di musica italiana in radio.

Le parole di Francesco De Gregori sembrano rivolte soprattutto a Mogol, presidente della Siae: “Sarebbe la fine. Mi chiedo cosa sarebbe stata la mia vita da musicista se non avessi sentito per radio le canzoni straniere..”, ha dichiarato il cantautore nella conferenza stampa seguita alle prove generali di ‘Off the Records’, una serie di 20 concerti da oggi al 27 marzo al Teatro Garbatella di Roma per un pubblico di 230 persone per sera e già tutti sold out.

“Le radio non mi passano” confessa poi De Gregori. Ma, anche qui, preferisce riderci su. O almeno prenderla con ironia: “Se fosse obbligatorio, allora dovrebbero passare il mio 33,3 periodico… E sono tanti altri quelli che non vengono passati in radio”.

La precisazione di Mogol

Poche ore prima il presidente della Siae, Mogol, aveva cercato di aggiustare il tiro (su RAdio 24) dopo le polemiche: “Non sono contro la musica straniera, ma credo che lasciare il 30% di spazio alla musica italiana sia una cosa buona. Perché farlo con una proposta di legge? La legge serve perché la norma venga rispettata e per far in modo che questo spazio esista”.

Peccato però che la Lega abbia avanzato la proposta di legge senza prima guardare i dati. Secondo uno studio del Sole 24 Ore che si basa sui numeri ufficiali di EarOne, attualmente il 45 per cento delle canzoni che passano per radio sono già in lingua italiana.

Infatti se adesso il 45 per cento delle canzoni trasmesse in radio sono italiane, con la riforma proposta dalla Lega si scenderebbe al 33 per cento, per cui i brani made in Italy rischierebbero di diminuire anziché aumentare.

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