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    Riforma della sanità lombarda: Speranza stronca la Legge 23, ma Fontana prende tempo

    Il ministro della Salute Roberto Speranza e il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana (foto ANSA)

    Il ministro della Salute ha inviato alla Regione Lombardia una proposta di revisione, chiedendo di iniziare l'analisi entro 30 giorni, per concluderla in 120. Il presidente propone "un impegno comune", ma specifica che la crisi sanitaria potrebbe far dilatare i tempi. I sindacati lombardi hanno già messo sul tavolo le loro proposte per un cambiamento di rotta davvero netto

    Di Lorenzo Zacchetti
    Pubblicato il 19 Dic. 2020 alle 10:08

    La Legge 23 approvata nel 2015 dalla Regione Lombardia, che ha profondamente riformato il sistema sanitario, ha fallito e va cambiata. E bisogna farlo in fretta, ovvero iniziando entro 30 giorni, per arrivare a una conclusione entro 120.

    Dopo accesi dibattiti tra gli addetti ai lavori sulla necessità di cambiare rotta, giunti alla scadenza dei cinque anni di sperimentazione anche il ministro della Salute Roberto Speranza ha preso una posizione sul tema. In un documento di analisi inviato alla Giunta lombarda, il Ministero ha avanzato “una proposta organizzativa del sistema che risponde all’esigenza di riallineamento rispetto alla normativa statale e alcune raccomandazioni in grado di favorire risultati migliorativi in termini di efficienza”.

    Il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana ha replicato al ministro “evidenziando il costante rispetto dei principi costituzionali da parte della Regione, confermato della mancata impugnativa da parte del Governo non solo della L.r. 23/2015, ma anche delle precedenti 31/1997 e 33/2009”.

    “Gli ho inoltre comunicato – ha aggiunto Fontana – di aver preso atto delle osservazioni riportate nel documento e sottolineato, con riguardo agli aspetti ritenuti necessari, la condivisione dell’opportunità di approfondire le questioni relative a collocazione delle funzioni di Prevenzione e organizzazione di Distretti e area della salute mentale. Su tutti gli altri aspetti, ho rimarcato che l’attuale norma sia rispettosa dei principi sopraddetti e che in ogni caso l’Aula del Consiglio regionale sia la sede più opportuna per revisionarli”.

    Rispetto alla stringente tempistica delineata da Speranza, il presidente della Regione ha manifestato l’intenzione “di lavorare per raggiungere l’obiettivo comune nel minor tempo possibile, al fine di rispondere ai bisogni, sebbene non strettamente contingentato ai 30 e 120 giorni suggeriti”, anche per via della crisi sanitaria.

    Eppure il tema viene dibattuto da tempo e numerose proposte sono già sul tavolo. Esponenti di maggioranza e opposizione della Regione Lombardia hanno partecipato al convegno “La cura della sanità lombarda comincia dal territorio. Cambiamo la legge regionale sul sistema sociosanitario in Lombardia”, organizzato dalle divisioni lombarde di Cgil, Cisl e Uil.

    L’assessore al Welfare Giulio Gallera, il presidente della Commissione Sanità Emanuele Monti, il capogruppo del Pd Fabio Pizzul e il consigliere del M5S Marco Fumagalli si sono confrontati con tecnici come il Prof.Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, e Walter Ricciardi, docente di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nonché consigliere di Speranza per l’emergenza-Covid.

    Nel corso dei lavori, i sindacati lombardi hanno proposto una vera e propria inversione a U rispetto al percorso intrapreso con la Legge 23, per puntare sulla sanità territoriale e sull’assistenza di prossimità. In netta discontinuità rispetto alle scelte operate dalla Giunta Maroni (in carica nel 2015), si chiede di riordinare la governance del sistema sanitario regionale, di rafforzare i Distretti e creare dei “Punti Salute”, di realizzare un’effettiva integrazione sanitaria, socio sanitaria e sociale, con una distribuzione e localizzazione territoriale adeguata e accessibile per rapporto alla popolazione e alla viabilità e ai servizi di trasporto pubblico locale, di sviluppare la continuità di cura ospedale-territorio e la presa in carico, nonché di introdurre modelli innovativi per migliorare i servizi e nel contempo calmierare le rette delle RSA.

    Una vera e propria rivoluzione, che riguarda anche il tasto dolente del rapporto con i privati. Secondo i sindacati, ma anche per molti addetti ai lavori, serve un riequilibrio a favore delle strutture pubbliche: “In questo senso è necessario riconsiderare il percorso di autorizzazione/accreditamento e contrattualizzazione degli erogatori privati sanitari e sociosanitari, rivedendo le regole di ingaggio, le procedure ed il sistema di remunerazione, per favorire una maggiore integrazione e collaborazione con il sistema pubblico di cura e assistenza, con un governo pubblico che, sulla base di una programmazione regionale e territoriale fondata sull’analisi dei bisogni assistenziali, sappia orientare le risorse e l’offerta sanitaria privata”, affermano Cgil, Cisl e Uil.

    Tramite i rispettivi segretari, Monica Vangi, Pierluigi Rancati e Ciro Capuano, i sindacati aggiungono: “Dobbiamo farlo costituendo un assessorato unico, che integri le politiche sanitarie, socio sanitarie e sociali a prevalente impatto socio-sanitario (comprese le politiche per la disabilità), potenziando il ruolo dei distretti, affinché riorganizzino i servizi sul territorio, garantendo il collegamento tra epidemiologia e prevenzione sanitaria, presa in carico e appropriatezza delle cure nel posto e nel momento giusti, spostando l’asse assistenziale delle cure dall’ospedale al territorio, valorizzando il ruolo dei Comuni”.

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