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Silvia Romano, Pippo Civati a TPI: “Li aiutava a casa loro, è un simbolo di speranza. I riscatti si pagano sempre”

Pippo Civati. Credit: Ansa
Di Fabio Salamida
Pubblicato il 12 Mag. 2020 alle 07:12

In queste ore in cui una parte del Paese riesce a sfogare i suoi peggiori bassi istinti anche sulla liberazione di Silvia Romano, una giovane cooperante tenuta in ostaggio per 18 mesi da una delle più sanguinarie organizzazioni terroristiche del pianeta, è impossibile non ricordare la tenacia con cui Pippo Civati ha tenuto alta l’attenzione sulla vicenda con un vero e proprio martellamento quotidiano. Mentre le agenzie di stampa battevano i lanci sulla liberazione di Silvia, a molti è venuto in mente il nome dell’ex parlamentare oggi a capo della People, la casa editrice che ha fondato appena un anno fa e che già vanta un catalogo con firme importanti come Liliana Segre, Mauro Biani, Giulio Cavalli, Marta Perego e tanti altri.

“Mi fa piacere e molto – racconta a TPI – soprattutto perché è stato un momento di gioia e di commozione totali. Poi ha ragione Makkox che mi canzona: in Somalia non credo leggessero i miei tweet, non ho alcun merito particolare, se non aver ricordato ogni giorno Silvia Romano per una ragione che è ahinoi ancora attuale: perché se ne continuasse a parlare e se ne parlasse con rispetto e senso della misura”. Quasi come fosse un parente, un amico di lunga data, Pippo ha provato commozione apprendendo della liberazione di Silvia, una commozione autentica e non interessata: “All’inizio non volevo crederci diffidando di ogni notizia, con il terrore della solita fake news che sempre incombe. Però dopo pochi minuti ci ho creduto ed è stato commovente. Non ho ancora sentito né lei né i suoi parenti; vanno lasciati in pace per qualche ora, perché siano finalmente ore serene. Non possiamo nemmeno immaginare che cosa abbiano passato. C’è stato uno scambio di messaggi, per ora è più che sufficiente”.

Per una parte del Paese, Silvia Romano rappresenta la nostra meglio gioventù, un simbolo di speranza, l’idea che possiamo essere migliori e lottare per un mondo migliore. Ricordarla ogni giorno mentre era nelle mani dei rapitori, per il fondatore di “Possibile”, è stato un vero e proprio atto politico. “Lo era anche per una ragione forse più banale: non sopportavo i commenti pieni di livore e di astio verso una ragazza giovane che era stata rapita. Una ragazza italiana che li aiutava a casa loro, come vuole lo slogan più abusato della storia recente, che portava speranza in un luogo della terra marginale e dimenticato. Come fanno moltissimi altri, ed era un modo per ricordarlo a me stesso e ai tanti che hanno voluto condividere questo messaggio quotidiano”.

E come prevedibile, purtroppo, gli haters (abilmente  fomentati da alcuni politici e dai giornali di area “sovranista”) si sono scatenati contro la giovane cooperante nelle ore successive alla sua liberazione: a ispirare i leoni da tastiera la sua conversione all’Islam, il riscatto che pare sia stato pagato, che abbia detto di essere stata trattata bene, il fatto che fosse in Kenya ad aiutare chi sta male “invece di pensare ai poveri italiani”, uno dei classici mantra ripetuti da chi spesso nella vita non ha mai fatto mezza giornata di volontariato. “Ho provato a spiegare che i riscatti si pagano sempre o quasi e li pagano tutti o quasi. Anche se negano di averlo fatto. C’è però una semplice controprova: non spendere niente per le persone sequestrate significa non trovarle più. Significa non spendere un euro nemmeno per andarle a cercare, per muovere l’intelligence, per lavorare sul campo. Siamo proprio sicuri che sarebbe meglio? Pensiamo a Padre Maccalli e Padre Dall’Oglio, alla ricerca del quale gli americani avevano stabilito una ricompensa di 5 milioni di euro. Li abbandoniamo a un destino orribile?”.

Sono tante le ragazze e i ragazzi che dedicano la loro vita al prossimo e sono una grande risorsa per il Paese e per quel variegato mondo delle Ong che lavorano in prima linea nei luoghi più difficili del pianeta. A mente fredda bisognerà ragionare su come mettere in maggiore sicurezza i cooperanti per evitare che quello che ha subito Silvia Romano possano subirlo altri. “Ci sono già protocolli e regole di ingaggio molto serie e rigorose – spiega Civati – e c’è una rete di protezione intorno alle persone che si muovono per la cooperazione. Ora saranno gli inquirenti a verificare se questa è mancata per Silvia Romano, per ora godiamoci questo bel momento”.

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