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Perché uno studente universitario su cinque soffre di ansia o depressione

Perché uno studente universitario su cinque soffre di ansia o depressione? Credit: Pixabay

Secondo il Center for Collegiate Mental Health quasi uno studente su cinque ha sperimentato ansia o depressione, e il professore di psichiatria David Rosenberg ne ha spiegato il motivo

Di Camilla Palladino
Pubblicato il 20 Mar. 2018 alle 17:00 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 19:19

Gli anni dell’università comprendono tappe fondamentali per la formazione degli adulti di domani, e dovrebbero essere affrontati nel modo più sereno possibile, per permettere alle giovani menti di apprendere determinate nozioni.

Eppure, il rapporto annuale del Center for Collegiate Mental Health della University Park, in Pennsylvania, per il 2017 ha mostrato che l’ansia e la depressione sono i principali motivi che spingono gli studenti a chiedere un sostegno psicologico.

Secondo i risultati della ricerca, gli studenti universitari che dichiarano di soffrire di un disturbo mentale, che sia quello dell’ansia o quello della depressione, sono quasi uno su cinque, che equivale a poco meno del 20 per cento.

Ma perché sono così tanti gli studenti affetti da disturbi mentali come ansia e depressione?

Lo ha spiegato David Rosenberg, professore di psichiatria e neuroscienze alla Wayne State University, a Detroit, nel Michigan.

Oltre ad insegnare, Rosenberg si occupa di tenere delle sedute psichiatriche con gli studenti che hanno sperimentato problemi di salute mentale, e afferma che esistono diverse cause che rendono psicologicamente stressati i giovani universitari.

Ecco quali:

L’uso massiccio della tecnologia

A quanto pare l’infelicità è legata a doppio filo con la tecnologia, considerato soprattutto il fatto che tra il 2006 e il 2016 il tempo che passiamo online è raddoppiato e l’82 per cento degli adolescenti usa i social network tutti i giorni, cioè il 51 per cento in più rispetto al 2008.

Un uso eccessivo dei social media, e della tecnologia in generale, contribuisce a creare interazioni sociali alterate e un maggiore senso di isolamento.

Passare troppo tempo sui social media, inoltre, può provocare un senso di inadeguatezza che spinge le persone a paragonare la vita reale con quella virtuale, creando una sorta di competizione nel condividere foto e messaggi.

L’assunzione di sostanze stupefacenti

Un altro problema degli studenti universitari è l’ambizione: per dimostrarsi all’altezza delle proprie aspettative e di quelle dei genitori, spesso gli studenti fanno ricorso a sostanze stupefacenti.

“Negli ultimi cinque anni, il numero di richieste che ricevo dagli studenti delle scuole superiori e dei college, e dai loro genitori, per stimolanti come Ritalin e Adderall è salito alle stelle. Una decina di anni fa ricevevo simili richieste raramente, o mai. Ora ne ricevo parecchie ogni mese. Queste richieste vengono spesso fatte prima di sostenere esami importanti”,  ha scritto Rosenberg.

Farmaci com Ritalin e Adderall dovrebbero essere prescritti solamente alle persone che soffrono della sindrome da deficit di attenzione e iperattività, perché se utilizzati inopportunamente possono causare ansia e depressione.

I costi troppo elevati dell’università

Molti degli studenti che, per frequentare l’università, si trasferiscono in altre città abbandonando la casa di famiglia, soffrono di ansia e depressione.

Questo è dovuto allo stress finanziario a cui sono sottoposti gli studenti fuori sede: le tasse universitarie che diventano sempre più alte, il terrore di indebitarsi che cresce sempre di più, la paura di non trovare un lavoro dopo la laurea e dover tornare a vivere con i propri genitori.

Tutti questi fattori creano una sensazione di disagio, ansia e depressione nelle menti dei giovani universitari.

Inoltre, in passato, era quasi scontato che i figli avrebbero superato i loro genitori, nella carriera e nei successi economici.

Ora non è più così, anzi: molti studenti universitari credono che, in futuro, non saranno in grado di ottenere ciò che hanno realizzato i loro genitori. C’è un senso di frustrazione che dipende dalla convinzione che non ci siano più lavori “buoni” nel mondo.

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